Vorremmo tutti essere Totti, fuoriclasse con la faccia da buono. Invece siamo più spesso Spalletti, vittime di un’ossessione. Spalletti è come un direttore del Louvre che deve staccare la Gioconda dalla parete e metterla in una scatola. Lo fa, ma non vorrebbe. Vorrebbe, ma non ce la fa. Quel sorriso senza tempo lo tormenta. Domenica sera, nonostante la sua Roma avesse appena illuminato San Siro, ha finito immancabilmente per parlare di Totti..
Se fosse stato più furbo, o meno ossessionato, Spalletti avrebbe riappeso il quadro alla parete, regalando alla folla il piacere dell’ultima ostensione. Invece lo ha lasciato nella scatola e a chi glielo faceva notare ha detto che, se tornasse indietro, non allenerebbe più la Roma. Un modo stizzito e un po’ meschino di ribadire: o me o lui. Impossibile, perché nelle ossessioni il «me» e il «lui» coincidono. L’anno scorso Spalletti disse che senza Totti se ne sarebbe andato. Forse era sincero. Di sicuro adesso se ne andranno insieme, ma ciascuno per conto suo.
(corsera - M. Gramellini)