IL MESSAGGERO (U. TRANI) - James Pallotta fa ancora centro. Quando c'è da prendere la mira e inquadrare il bersaglio, non fa mai cilecca. Ed è lucidissimo se c'è da abbattere il simbolo della Roma e del romanismo. Tra metà maggio e metà giugno il presidente è stato infallibile. Colpo grosso. Perché doppio. Fuori Daniele De Rossi, il capitano dell'ultima stagione. E adesso Francesco Totti, da due anni dirigente senza alcun potere. Eliminati e umiliati, senza curarsi della piazza e della storia. La loro e quella del club. Anche se poi sono stati loro a farsi da parte, sentendosi improvvisamente indesiderati e comunque sviliti dalla proprietà Usa, indirizzata dal suggeritore scelto Franco Baldini che dal 2011 ispira ogni decisione impopolare presa poi a Boston.
AL FORO ITALICO Totti, insomma, va via. L'addio, dopo aver vissuto da giallorosso per 30 anni (entrò a Trigoria nell'89), è in programma nella casa dello sport italiano. Il giorno è domani, alle ore 14. Ma simbolica è la data: 17 giugno. La stessa dell'ultimo (3°) scudetto, vinto nel 2001 con Capello in panchina e Batistuta al fianco. Francesco non potrà mai essere felice, come lo fu 18 anni fa in campo e per strada, quando si presenterà invece nel Salone d'Onore, al primo piano del Palazzo H. E' stato Giovanni Malagò, il presidente del Coni, a concedergli il palcoscenico ideale per dar forza al suo divorzio da Pallotta e dai suoi seguaci che lo sostengono in ogni luogo, nella capitale e anche fuori. Nella conferenza stampa in cui ufficializzerà la sua uscita di scena ha già garantito che cercherà di entrare nei dettagli per evitare malintesi o scambi di persona. Sarà chiaro e definitivo. Lo ha promesso anche a chi, all'interno della società, gli è stato vicino in questi mesi. Avrebbe voluto salutare all'Olimpico, aprendolo ai suoi tifosi, come fece il 28 maggio del 2017. Non è stato possibile, per (ovvi) motivi di ordine pubblico. Non avrà accanto nessuno del Media Center giallorosso, a cominciare da chi, in passato, gli mise il silenziatore quando avrebbe già voluto essere sincero con la sua gente.
NESSUN RIPENSAMENTO La decisione è datata. Il Messaggero, lo scorso 16 maggio, titolò: Totti lo sposo dimesso. Solo 2 giorni prima, l'amico De Rossi, vedendolo in disparte durante la sua ultima conferenza stampa, lo citò come esempio per spiegare come mai non aveva accettato di fare il dirigente perché «Francesco incide poco». Un mese dopo Totti ha seguito l'ex compagno, rifiutando il ruolo di direttore tecnico (proposta ricevuta a voce, mai con bozza di contratto: quindi nessuna limitazione alle attività personali messa per iscritto) e rinunciando a 4 anni di stipendio (2,4 milioni). Ha telefonato a Guido Fienga, con il quale il rapporto è stato leale e diretto. E costruttivo: a marzo ha individuato e convinto Claudio Ranieri. Il Ceo ha accettato il consiglio, affidando in corsa la Roma all'allenatore di San Saba. L'altro ieri Fienga ha invece dovuto prendere atto che niente e nessuno avrebbe potuto ricucire lo strappo. Anche perché l'ennesima intervista di Pallotta al sito del club giallorosso ha avuto l'effetto boomerang, peggiorando la situazione già precipitata il 4 giugno quando Francesco è stato escluso dal summit di Madrid, dove il Ceo e Petrachi hanno presentato il progetto tecnico a Fonseca. Il tentativo di coinvolgerlo nel vertice di Londra è andato a vuoto. Anche per la presenza di Baldini, considerato (non solo da lui) il presidente occulto. Che, in 2 anni, gli ha fatto chiudere la carriera di calciatore e, per ora, anche quella di dirigente. Missione compiuta e allargata a De Rossi. Che alluse al consigliere durante lo sfogo del 14 maggio in sala Champions, ma mai come fece Ranieri, incontrando il giorno dopo i tifosi a Trigoria. Claudio, davanti al cancello del Bernardini, insieme con Daniele fu inequivocabile: «Ha deciso testa grigia a Londra».
CONVIVENZA IMPOSSIBILE Totti ha riconosciuto a Fienga il merito di aver ottenuto il sì di Pallotta per la promozione. Ma ha anche capito che il presidente avrebbe ascoltato sempre e comunque Baldini e non lui. Fiducia limitata, fino al punto di spingere in ferie il futuro dt durante il mercato. Francesco si è sentito sopportato e ha detto basta. Prendendo le distanze dalla nuova restaurazione: non è stato coinvolto nella scelta né di Petrachi né di Fonseca. Ecco perché parlerà lontano da Trigoria (e dall'Eur). Casa sua non è più lì. Meglio essere ospite dell'amico Malagò. «Del resto è una questione personale». Con il consigliere esterno di sicuro. E, chissà, anche con qualcuno più interno. Consiglio ai curiosi: domani è solo un altro giorno. Di questa Roma che non fa più sventolare le bandiere.