IL ROMANISTA (P. TORRI) -The day after è come dopo il Camp Nou. Tale e quale, c'è differenza zero tra l'uno a quattro catalano e il due a cinque subito. E allora è stato bello sognare, la partita di ritorno sarà solo per l'orgoglio, chi se lo aspettava che la Roma arrivasse fino a questo punto il giorno del sorteggio dei gironi, per una nuova finale di Champions ci sarà bisogno di aspettare chissà quanti altri anni ancora. Ecco, appunto, come dopo Barcellona. Quando le ferite tutto sembravano meno che rimarginabili. E invece quella notte indimenticabile all'Olimpico contro i presuntuosi catalani, ci ha fatto arrivare fino a qui, nella fatal Liverpool. (...) Nessuno dopo le quattro pappine (immeritate peraltro) incassate tra le urla di indipendenza della Catalogna, La partita di ritorno, si diceva, sarà una passerella per Messi e discepoli, la Roma dovrà puntare soprattutto a salvare l'onore per dare l'arrivederci alla Champions. Sappiamo come è andata. Tre gol, Dzeko, De Rossi, Manolas e tanti saluti ai catalani. Che, è bene ricordarlo, hanno una nome e una storia negli ultimi venti anni assai superiore a quella di questo Liverpool che va a mille all'ora. In sostanza, se hai fatto tre reti al Barcellona, perché non puoi pensare di farle anche alla perfida Albione? L'interrogativo apre le porte al secondo motivo per cui continuare a sperare di dover fare le file per garantirsi il biglietto con destinazione Kiev. La partita di Anfield ci ha detto sì che velocità e organizzazione offensiva del Liverpool è roba di primissima qualità, cosa del resto risaputa in questa stagione, Salah devastante, Firmino meraviglioso, Manè il giusto complemento per un terzetto che ha tutte le qualità per fare male a qualsiasi difesa al mondo. Ma ci ha pure ribadito che dietro, davanti a quel Karius ornato di cipolla in testa, ma che a noi tutto è sembrato meno che un portiere in grado di garantire solidità, l'organizzazione difensiva non è all'altezza del tridente del gol. (...) Passiamo al terzo motivo. Il fattore Olimpico. La nostra casa, almeno fino a quando non avremo il nostro Anfield e speriamo che sia il prima possibile. A parte i quasi tremila tifosi presenti a Liverpool, non sappiamo se per tutti gli altri che amano il giallorosso, davanti al televisore si sia percepito cosa voglia dire giocare ad Anfield. Il fattore casalingo lo fanno pesare in maniera fantastica, sanno trascinare la squadra come in nessun altro stadio del mondo, urlano, cantano, spingono, incitano dall'inizio alla fine con una passione che solo chi è tifoso sul serio può percepire sul serio. (...) Il quarto motivo è un giocatore che amiamo sempre di più. Il suo nome è Edin Dzeko, che chissà quanto avrà imprecato nel vedere il suo amico di gol e assist Momo Salah idolo della Kop e di tutta la Premier. È lui, il bosniaco, l'uomo che può trascinare la Roma e i suoi compagni verso una nuova, grande, impresa. (...)