IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Da «Norman e Lippie sono brave persone, ci si parla bene ma poi si fa un po’ quel che mi pare» a «anche i medici devono essere da Roma» il passo è breve. Trascorrono i giorni, si susseguono le conferenze stampa e lentamente Spalletti racconta delle verità che per troppo tempo, dentro e fuori Trigoria, sono state volutamente sottaciute. Ieri l’ultimo affondo del tecnico (innervositosi per non aver ricevuto notizie certe sulle condizioni di Totti prima dell’incontro con i media) è stato nei confronti dello staff medico. Attualmente quello giallorosso è composto dal tedesco Ripenhof (consigliato espressamente da Norman) e da Del Vescovo, promosso quest’anno al posto dell'ex Colautti. Ripenhof sinora è stato un ologramma. Quando ha provato a farsi sentire (in occasione della visita pre-operatoria di Strootman a settembre) gli è stato educatamente fatto notare che la sua esperienza in interventi chirurgici di quel tipo era praticamente nulla. Del Vescovo invece non essendo un medico dello sport ma un radiologo non può nemmeno sedere in panchina con i calciatori. Deve farlo in quella vicina. Al suo posto ad entrare in campo è il dottor Antonucci (degli Allievi Lega Pro). Paradossalmente l’anomalia non è nemmeno questa ma il fatto che prima dell’arrivo di Spalletti fosse Norman a decidere tutto. Ripenhof e Del Vescovo erano meri esecutori. Dalle terapie da svolgere al recupero degli infortunati (molti i casi che hanno lasciato perplessi: su tutti quello di Gervinho), dalle tipologie d’allenamento ai carichi di lavoro, tutto passava per il canadese.
C’ERA UNA VOLTA RUDI E Garcia? Il tecnico francese, depotenziato dal club in estate, non ha potuto far altro che adeguarsi, rendendosi conto di non avere più l’autorità necessaria per cambiare la situazione. Soltanto Sabatini ha provato ad aiutarlo quando ha capito che l’operatività di Norman rischiava di sfociare in campi che non gli appartenevano. Dopo un acceso confronto a inizio stagione, la situazione è migliorata ma non è stata risolta.
RITORNO ALLA NORMALITÀ E così quando la barca ha iniziato ad affondare, anche Rudi ha cominciato a lanciare all’esterno dei messaggi. Prima criptati, poi sempre più espliciti. Ormai, però, era troppo tardi. Per usare un termine caro a Spalletti, con il toscano si è tornati alla «normalità». L’esternazione «si fa un po’ quel che mi pare», può apparire stonata soltanto a chi non conosce la storia di quanto accaduto negli ultimi mesi a Trigoria ma ha la forza di riportare le cose al loro posto. Tradotto: c’è un tecnico che decide e uno staff che esegue. Ora sono i suoi collaboratori (Domenichini, Franceschi, Andreazzoli e Baldini) a controllare il lavoro da svolgere, con la supervisione di Lucio in prima persona. E poco importa se Norman è l’uomo voluto da Pallotta e Lippie l’occhio vigile del presidente a Trigoria. Con Spalletti, vige il massimo rispetto per le professionalità di ciascuno ma poi alla fine si fa come dice lui.