DAGOSPIA.COM (G. DOTTO) - Fuori anche dalla Coppa Italia. Per mano di Montella e piede di Gomez. La gatta buia della Roma continua. Era iniziata all’Olimpico con i lanzichenecchi di Guardiola. Uno stupro in piena regola. E’ un fatto. Quella sera si è consumato un dramma ordinario e straordinario. La trama/trauma dello specchio infranto. La storia di Dorian Gray. La cornice che contiene l’inganno va in pezzi. Lo scarto tra quello che credevi di essere e quello che scopri di essere. Il Gregor Samsa che si scopre insetto in Kafka.
Fa tutta la differenza del mondo. Trascina il peggio e la cattiva sorte. Uno stato psichico insinuante, che non parla di sé, non bussa alla porta, non si presenta tipo: “Buongiorno Trigoria, piacere, io sono il verme che ti mangerà”. Credersi belli, meglio ancora onnipotenti, è l’anticorpo più forte che c’è.
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Rudi Garcia vaticina lo scudetto. “Temerario!”. Forse una divinità misteriosa ha punito il suo peccato di superbia. Ma è solo il capo del branco che dice: “Roma, lo scudetto deve essere il tuo destino permanente, non una festa ogni vent’anni”. La parodia del gladiatore, questa è Roma. Francesco Totti che, sul 2 a 2, si fa il selfie, invece di portare rabbiosamente la palla al centro e urlare: “Andiamo a prendercelo questo derby”.
Manca a Trigoria la presenza di un leader indiscutibile. Un capo. Ma sì, un presidente alla Dino Viola, grandissimo lui. Uno capace di tenere insieme tre personalità forti, tre teste notevoli ma difformi, come Baldissoni, Sabatini e Garcia. James Pallotta, pianta la tua tenda a Trigoria, almeno per un semestre.
Walter Sabatini, l’intelligenza fatta parossismo, il bucaniere nel suo caveau fumoso, nel suo circo solitario, che gioca il suo match personalissimo con una vita in bilico, mica perché fuma come un ossesso e pesca l’aria da polmoni sempre più stanchi, ma perché questo è lui, un uomo sempre in bilico.
Da Baldini a Baldissoni resta la radice, ma siamo passati dal narcisismo dolente al narcisismo imperativo. Un uomo irrorato giorno e notte, come certe pompe di benzina cui si guasta il timer, dalla certezza di essere più intelligente di chiunque, anche di se stesso.
Rudi Garcia è un uomo solare e leale, paracadutato da una visione di Sabatini in una Trigoria che non va compresa, interpretata, mediata. Va domata. E frustata, se serve. Vedi Fabio Capello. Garcia soffre, quasi fisicamente, la prevalenza delle ombre, il primato del non detto. Garcia è lo straniero meno idoneo a vivere il quotidiano di Trigoria. Per questo, se ce la farà, sarà la sua impresa più grande.
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Ma oggi, Totti, anche il Totti sublime del derby, quello che s’inventa un gol strapazzando le leggi della (sua) fisica, di un quasi trentanovenne sempre più ancorato alla legge di gravità, che miracolosamente pesta dentro ritmi ed esuberanze fisiche per lui proibitive, di gente che potrebbe essergli figlia, il Totti di oggi che i tifosi amano ancora più che mai, ma svenati dal dubbio che avanza: questo Totti è diventato un problema per la sua Roma.
Ad essere esatti, sono un problema reciproco. Sono prigionieri l’uno dell’altro. Totti e la Roma. Che non è mai libera d’immaginarsi senza Totti. E, invece, deve cominciare a farlo, da subito.
Bello sarebbe pensare l’ultimo derby come il suo canto del cigno, prima che il cigno diventi pietra. Già presento i tamburi di guerra. Ma come? Il Garcia italianizzato, la pareggite e ora la sconfiggite che avanza, e tu mi tocchi l’Intoccabile? Il punto è questo. Immaginarsi senza il suo Dio stanco, è l’unica strada per immaginarsi un domani oltre che uno stadio.
Il problema della città romanista, a cominciare da trombettieri gregari e ruffiani, è l’incapacità di separarsi dall’ovvietà del Mito, di concedersi a un lutto troppo grande. E, allora, lo si vuole differire il più possibile. Questo ammazza la Roma.
Nel suo di dentro, Totti questo lo sa, che i tifosi non riescono a immaginarsi senza di lui e lui senza di loro. Totti oggi è un grande problema. Lo è nella spietata legge del tempo che tutto divora. E, come sempre, quando c’è di mezzo l’affetto, lucidare uno sguardo spietato è un’impresa.
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Immaginare una Roma senza Totti è troppo per farlo sino in fondo. Dovrà essere lui, Francesco ad aiutare l’impresa, facendosi da parte, consegnandosi così a una grandezza assoluta e a una storia perfetta. Immaginarsi altro da quello che è. Immaginare la sua fine da calciatore. Il più grande atto d’amore romanista.