Noi mai schiavi del risultato, loro di Moggi

19/04/2012 alle 10:28.

IL ROMANISTA (G. DELL'ARTRI) - Riecco Juventus-Roma. La partita delle partite, dagli anni 80, da Viola contro Agnelli, dall’Ingegnere contro l’Avvocato. E pure da prima. Forse, da sempre. La rivale più rivale, almeno per i romanisti. Perché nel frattempo gli juventini sono riusciti a farsi altri “amici”.

QUANDO PERDONO CORI PER L'EX - Si parte dalle origini, dal principio che ti spinge ad essere di una squadra oppure di un’altra. Se nasci e decidi di essere della , a meno che tu non sia di Torino (ma si sa che lì la maggior parte sono granata), vuol dire che scegli una squadra che vince, che comanda, che è arrogante, che sta al potere. Se invece tifi per la Roma, sia che tu sia nato e cresciuto nella Capitale, sia che la scintilla sia scoccata a chilometri di distanza, vuol dire che la tua scelta non stata di testa ma di cuore. Quello che ti palpita appena vedi il giallo e il rosso. Quello che ti fa essere ancora più romanista se le cose non vanno come ti aspetti. Quello che ha fatto scrivere alla lo striscione che è diventato il motto di una stagione di sofferenza in attesa di grandi cose: “Mai schiavi del risultato”. Roba impensabile per gli juventini. Basta pensare ai cori partiti dalla curva bianconera in più occasioni, su tutte lo scorso anno dopo una sconfitta contro il Milan con lo stadio a inneggiare Luciano Moggi. Ecco, basta questo, non c’è bisogno di aggiungere altro per spiegare la differenza

I PIANTI DI , LA CLASSE DI LUIS - Luis Enrique e , due allenatori emergenti, quasi coetanei. In teoria potrebbero assomigliarsi e invece sono quasi agli antipodi. A cominciare dal modo di vivere la partita. Da un lato , prima esagitato, poi afono. Dall’altra Luis che la partita la vive con calma, elegante, con una mano sul mento a scrutare, a capire. E poi le dichiarazioni dopo le partite. Di ne vengono subito in mente due. Dopo il pareggio con il Siena tra le proteste juventine (incredibile ma vero) per un rigore non concesso: «Andare ad analizzare i singoli episodi è riduttivo – disse - . Ma le immagini sono eloquenti. Mi sembra strano che in 21 partite la abbia avuto 1 rigore a favore e 3 contro». Tre giornate dopo ci fu Milan- , quella del colossale gol non dato a Muntari e dell’errore (tale era, ma meno evidente) su Matri. A fine partita litigò in diretta tv con Boban che aveva “osato” dire: «l’errore su Matri è capibile, quello su Muntari è pazzesco». «Lo trovo inaccettabile - la replica di - perché sono tutti e due errori tecnici. Zvone, togliti la maglia ». E Luis Enrique? Ve lo ricordate parlare di arbitri di errori? Mai. Anzi, dopo la partita di andata con la disse semplicemente: «Bisogna evidenziare la prova della , sono fortissimi».

PER IL TITOLO 2006 CHE SCENEGGIATA - C’era una volta -Roma tra Agnelli e Dino Viola. Lo -Roma di oggi non è meno sentito e in casa bianconera c’è ancora la famiglia Agnelli. Dal momento del suo arrivo, il discendente Andrea ha fatto dell’assegnazione dello scudetto del 2006, quello di Calciopoli, un cavallo di battaglia. Ricorsi, controricorsi, richieste multimilionarie di risarcimento danni. Un esposto all’Uefa al quale persino il presidente ed ex bianconero Platini rispose così: «Se me l’ha mandato, Andrea Agnelli avrebbe fatto meglio a risparmiare il francobollo». E poi il “tavolo della Pace” che fu un clamoroso fallimento. Insomma una battaglia legale che ha stancato i tifosi di tutta Italia. Completamente differente l’approccio della nuova Roma. Quella degli americani, quella di Franco Baldini che da quando è tornato dall’Inghilterra ha ripetuto in continuazione di voler portare un nuovo approccio al calcio. Non si parla di arbitri, non ci si lamenta dei torti. Non lo fa l’allenatore, non lo fanno i dirigenti. In primis Baldini che l’altro giorno, di fronte alle discussioni su quando recuperare la giornata annullata per la morte di Morosini, ha tentato di riportare tutti al buon senso tuonando contro la Lega. La rivoluzione passa anche da queste cose



CACCIANO ALEX, TOTTI CHIUDE QUI - Del Piero e . Due grandi campioni, due uomini uniti da un’amicizia più forte della rivalità sportiva tra le loro due squadre. Di cui sono sono stati e sono i simboli da quasi 20 anni. Le similitudini finiscono qui. Perché se entrambi sono stati e sono bandiere, solo per uno dei due il verbo potrà essere coniugato al futuro. Dal prossimo anno solo rimarrà a rappresentare il senso di appartenenza ad un club, ad una maglia. Perché a Del Piero qualche mese fa è stato detto che la non sarà più per lui. Il 30 giugno gli scadrà il contratto e non gli sarà rinnovato per volontà della società. Accantonato, messo da parte, anche se Del Piero non ha nessuna intenzione di smettere col calcio. Anche se continua ad essere determinante, vedi il gol alla Lazio nell’ultima giornata disputata. In una recente intervista a Vanity Fair, ha detto si essere rimasto sorpreso quando Andrea Agnelli ha annunciato la notizia. Ma con stile ha aggiunto: «Non abbiamo bisogno di polemiche, che del resto non hanno mai fatto parte della mia carriera». Proseguirà invece dove è iniziata e dove finirà la carriera di che è e sarà ancora il condottiero di una Roma giovanissima. Domenica saranno di fronte per l’ultima volta, ma questa è un’altra storia...