IL MESSAGGERO (F. PERSILI) - Parte spesso dalla panchina, Menez, si porta dietro qualche acciacco, tanto che il presidente del Monaco vede lassegno di 10,5 milioni, e brinda a champagne. Il piccolo Zidane, lo chiamano così in Francia, dalle parti di Trigoria trotterella alla ricerca dellossequio con le stimmate del nuovo Cassano.
Lo prende spesso da parte, lo sprona: «Guarda, sei il più forte che ho allenato alla tua età». Dipende da Jerry, adesso. Dopo la trasferta di Cagliari, con lingresso nei minuti finali, e ancora una discussione con Ranieri, arriva la consacrazione con lUdinese. Assist a ripetizione per Vucinic, chè lui preferisce far segnare gli altri, un be bop swing di dribbling e giocate, anche se lui è più rap, e va pazzo per il gruppo francese dei 113. Prova a liberarsi delletichetta del ribelle che si compiace del proprio diletto, e diventa lasso nella manica di Sir/Sor Claudio da Testaccio nel testa a testa con lInter. Il vice di Ranieri, il tattico Damiano, lo conosce bene, e Jerry diventa una mossa per aprire le difese. «Un diamante da lucidare, che cambia il volto della squadra», lallenatore giallorosso ripropone il paragone che Capello fece con Cassano («un diamante grezzo») e gioca la carta Menez per cambiare le partite in corsa. Accade così nel derby di ritorno dello scorso campionato contro la Lazio in cui il francese sembra un centrocampista completo: di proposta e (rin)corsa.
Vuole lo scudetto, dice «Roma è la mia casa», anche quando i ladri si accaniscono sulla sua villa, sogna la Nazionale francese. Blanc se ne accorge e lo chiama, Ranieri, questanno, dopo linizio choc, cerca di plasmare intorno a lui la squadra. È luomo delleffimera rinascita, nel piccolo ciclo di vittorie che sul finire del girone dandata (ri)porta in zona Champions la Roma. Il gol al Cagliari, sotto gli occhi di Platini, è la sua foto-ricordo. Finta, controfinta, doppio passo, il portiere a terra, la porta è vuota, ma lui tira forte per segnare. Sorriso stirato, porta lindice davanti alla bocca con quellaria da romano di Francia del faccio un po come mi pare, e Montali che spiega che ce laveva con i suoi amici in tribuna. Lesonero di Ranieri lo allontana dal campo, si torna al 4-2-3-1, e di Menez non resta che il segno dellinespresso, la futilità dellimprevedibile, la condanna al castigo per eccesso di sregolatezza. Così anche le macchine, e le scarpe, dai colori sgargianti, più che esibire il gusto artistoide del mago Jerry, lo mandano fuori catalogo. Lincantesimo si rompe, i sassi dei teppisti, e le incomprensioni con Montella fanno il resto. Menez saluta tutti, e fa per andarsene. Come quando guizza sulla fascia, una finta, e via. In fuga, unaltra volta. Solo, mentre il Colosseo aspetta un altro talento da sbranare