Nela: "Ho cominciato da raccomandato. Anche il cancro è stata una partita"

12/10/2025 alle 08:30.
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CORSERA - Sebino Nela, ex giocatore della Roma, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano. Ecco alcune delle sue parole, dalla sua esperienza da calciatore fino all'impatto del cancro sulla sua vita.

«Picchia Sebino», cantavano i tifosi della Roma.
«E io non ho mai picchiato nessuno. Si riferiva al fatto che ero tignoso in campo».

Gli inizi al Genoa.
«Ero tifoso rossoblù, come mio papà: ero magro e mi hanno scartato. Sono entrato con una raccomandazione».

Cioè?
«Un amico di mio padre, tifoso del Genoa: "Ci penso io". Il primo campo in erba l'ho visto quando ho esordito in serie B: ho sempre giocato sulla terra, sulla pozzolana».

Tanti sacrifici.
«Tre ore di autobus al giorno. Sveglia alle sei, scuola, allenamenti, poi aiutavo i miei
genitori nel loro ristorante. Aprivo i libri a mezzanotte, mi addormentavo subito».

Quali valori le hanno trasmesso i genitori?
«Mio padre ha sempre lavorato 18 ore al giorno, in cucina. È stato imbarcato sulle
navi. Mia madre non si comprava le calze per prendere le scarpe da calcio a me»
.
Poi ha iniziato a guadagnare.
«Ho ritrovato il primo contratto con la Roma: 40 milioni lordi di lire. I miei genitori
hanno smesso di lavorare. Il momento più bello della vita è quando ho portato a casa il premio in denaro dopo l'esordio con il Genoa: papà si è messo a piangere».

La stagione dello scudetto, 1982/83.
«Ho capito immediatamente che cos'era la Roma. Le tifoserie rivali ci insultavano in tutti i modi: mi raddoppiavano le energie».

Poi la finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool, l'anno successivo. Ha avuto un buon pallone che però ha servito a Graziani.
«Avrei potuto calciare. Ma quella sconfitta l'ho digerita bene. È stata peggio quella con il Lecce che ci è costata lo scudetto due anni dopo».

Giocare a Roma è difficile?
«È la città perfetta, a Milano ci sono più distrazioni. C'è un solo dato di fatto: non abbiamo mai avuto patron forti, a eccezione di Dino Viola e Franco Sensi, con cui abbiamo vinto. Quello che è ora De Laurentiis. Ma l'ambiente non c'entra nulla. Anche perché la Roma ha una delle migliori tifoserie d'Europa».

Il rapporto con Falcao?
«È una persona meravigliosa. Ma quando non ha calciato il rigore in finale con il Liverpool, mi ha deluso. So che un paio d'anni fa si è pentito».

Il cancro al colon: come l'ha affrontato?
«Noi calciatori viviamo di obiettivi, una partita dopo l'altra. Con la malattia ho fatto così. Passavo cinque ore in bagno tutte le notti con i dolori di stomaco dopo la chemio. Mi sono detto: "Cerchiamo di stare in bagno quattro ore. Poi tre e mezzo, poi tre". Ha funzionato. L'unica cosa che mi porto dietro è questa stupidaggine della gente che mi dice: "Non c'erano dubbi che con quel fisico ne venissi fuori". E allora tutti i colleghi che ho perso? Vincenzo D'Amico, Paolo Rossi, Sinisa Mihajlovic, Gianluca Vialli. L'unica differenza tra me e loro è che io sono stato più fortunato».

La famiglia?
«Una notte ho trovato mia moglie e le figlie che piangevano, ho detto: "Basta, siete
voi che dovete aiutare me". Dentro casa la situazione è cambiata. Ho perso mio padre per questa malattia, suo fratello. Ho perso mia sorella, la persona che stimavo di più al mondo: si è lasciata morire dopo 8 anni di cure. L'altra mia sorella convive da 14 anni con il cancro. Una famiglia falcidiata dai tumori: non ce lo meritavamo».

Qual è stata la cosa più difficile da superare?
«Mi spiaceva farmi vedere pallido. Ora cerco di essere sempre abbronzato».

Chi vince lo scudetto?
«Il Napoli ha tutto per riconfermarsi, l'Inter è la squadra che gioca meglio, il Milan
può essere la mina vagante».

E la Roma?
«Arrivare nelle prime quattro sarebbe un risultato straordinario. L'inizio è convincente, vediamo anche il cammino delle altre. Gasperini richiede tempo».