
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Soltanto ieri, alla Roma regnavano il “calcio arrogante” di Sabatini e le “divisioni” di Spalletti. Oggi, un ds come Monchi può ammettere candidamente l’imminente cessione dell’egiziano Salah al Liverpool («Ma il prezzo lo facciamo noi»), sbattendo la porta in faccia all’Inter («Zero possibilità che Rudiger vada via»), senza succeda granché. Mentre un allenatore, dopo i propositi urlati come lo spallettiano “Se non vinco vado via”, si concede un vocabolario fatto di “umiltà”, “concretezza”, “entusiasmo”. Dribblando persino la parola scudetto: «Niente proclami, teniamo un profilo basso, dovremo fare risultato ma cercando di divertire ». La ricerca della normalità romanista ha un nome: Eusebio Di Francesco. Monchi lo ha scelto perché «rappresenta molto di ciò che ci serve: capacità di lavorare e competenza, e quello che ha fatto al Sassuolo è risaltato agli occhi di tutte le direzioni sportive del mondo».