Fiorentina-Roma e i derby d’Europa: quando le Coppe parlano italiano

09/03/2015 alle 09:56.
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LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - Se non avete alcuna memoria di Aldo Firicano, se Robert Wurtz non vi dice proprio nulla, forse non è il caso di proseguire nella lettura di questo articolo. Ma se invece voleste ugualmente continuare, allora scoprireste che nella remota stagione 1998-99 i giocatori di e Sampdoria vennero condotti a conoscere il ghiaccio. Accadde non davanti al plotone d’esecuzione, ma nella oggettivamente trascurabile doppia sfida di Intertoto. Se vi va, sappiate che alla fine ebbero la meglio i felsinei. Scorie, periferie di qualche derby d’Europa nei cortili di casa nostra. Mentre arriva -Roma di Europa League, con i viola recidivi in quanto avversari della fratricida l’anno scorso, ottavi di finale (al “Franchi” risolse Pirlo), ecco che la memoria apre e chiude squarci e fessure, facendo entrare un po’ di tutto, dal fenomeno Ronaldo a Lulù Oliveira che si smaltava una sola unghia, lunghissima, di blu, da un Roby Baggio malinconico ad Aldo Firicano, appunto, che ora voi fate finta di ricordare e invece non ricordate per niente.

Quando l’Italia diventa Europa è come guardarsi nello specchio deformante del luna park, ci si scopre ciccioni o altissimi: il fascino della trasformazione, insieme alla difficoltà nel riconoscersi. Il gusto delle Coppe un po’ sbiadisce, cessa il tocco internazionale, in compenso almeno una nostra squadra è sicura di superare il turno. E la partita doppia non assomiglia più al campionato. Molte volte il derby d’Europa (16 finora) ha fatto irruzione nella quotidianità del nostro calcio, dandole un senso diverso. Ci sono state finali, la Uefa vinta dalla contro la (ancora lei), la che il Milan tolse ai rigori alla (ancora lei), la Uefa che la (ancora lei) si fece portare via dal Parma quando il Parma non falliva, ma faceva fallire i sogni degli altri, la Uefa che l’Inter soffiò alla Lazio quando Ronaldo era davvero il più grande talento della galassia.

Prima considerazione: negli anni Novanta, l’Europa del calcio eravamo noi. Non per nulla vincemmo la Coppa Uefa sei volte su sette. Ma anche scollinando oltre il Duemila, eravamo i signori di un altro mondo. La finalissima di a Manchester, tra e Milan, risale solo al 2003 ma è come se fossero trascorse alcune ere geologiche. Molte di più ne sono passate da quando il nostro calcio fece esperienza per la prima volta di un derby d’Europa, la Coppa di chiamava ancora “dei Campioni”, erano gli ottavi di finale 1985-86. Andata al “Marcantonio Bentegodi”, zero a zero, ritorno il 6 novembre ‘85 in uno stadio Comunale senza tifosi, provvedimento dell’Uefa dopo l’Heysel. Sui gradoni di cemento si sentivano rimbalzare le voci dei giocatori, la vinse 2-0 e l’arbitro Wurtz (eccolo!) non vide l’evidente fallo di mano di Aldo Serena nella propria area. Un mite signore come Osvaldo Bagnoli disse ai carabinieri di andare a cercare i ladri nello spogliatoio bianconero e poi lanciò uno zoccolo, mentre il danese Elkjaer uscì dal campo mimando all’arbitro la firma di un assegno. «Ci sentivamo derubati», ricordò Beniamino Vignola, veronese ed ex bianconero. «Anche Trapattoni ammise che quel rigore era enorme».

Più o meno la stessa musica dopo la finale di Coppa Uefa 1989-90 tra e Fioentina, andata a Torino (3-1), ritorno sul neutro di Avellino (neutro mica tanto: la Campania è un feudo bianconero) perché il “Franchi” era ancora un cantiere di Italia ‘90, il mondiale imminente. Al “Partenio” finì zero a zero, tuttavia le polemiche c’erano state all’andata: «Il gol di Casiraghi andava annullato per un fallo nettissimo su Pin, e il corner della loro terza rete era inventato », ricorda Alberto Di Chiara che ne ricavò persino un libro dal titolo non proprio ermetico: “La sporca finale”. L’ultima volta di Baggio in maglia viola, poi passò proprio alla , l’ultima panchina bianconera di Zoff prima che arrivasse Gigi Maifredi con il suo calcio-patacca. «Quando, qualche anno dopo, andai via da Firenze capii perché la gente ce l’avesse tanto con la », dice Di Chiara. Si sarebbe preso la sua vendetta cinque anni dopo, vincendo la Coppa Uefa proprio contro i torinesi e con la maglia del Parma, pure quella volta su un campo neutro, San Siro: era l’epoca in cui Antonio Giraudo portava via la squadra da Torino, come forma di pressione/ricatto verso il Comune che non si decideva ad avviare le pratiche per il nuovo impianto bianconero. In prospettiva, bisogna dirlo, aveva ragione lui.

Tanti derby d’Europa, alcuni minuscoli, altri memorabili come la finale secca di Uefa a Parigi tra Inter e Lazio, stagione 1997-98, un 3-0 senza discussioni. Il dentone Ronaldo è ancora lì che stordisce di finte Marchegiani, poi Zamorano e Zanetti a  segno per dare a Massimo Moratti la prima, grande vittoria. Resta memoria anche della doppia semifinale di tra Inter e Milan, annata 2002-03: 0- 0 e 1-1, nessun vincitore ma un gol di Sheva segnato “in trasferta” per offrire a rossoneri la possibilità di battere la all’”Old Trafford”. Quella volta rise Carlo “il perdente”, “il maiale che non poteva allenare” secondo la feroce curva bianconera, invece di ne sarebbero venute altre due per Carletto, ancora con il Milan nel 2007 e poi col Real Madrid, un anno fa: curiosamente, anche quest’ultimo trofeo conquistato dopo un derby d’Europa, spagnolo e insieme madrileno, dunque doppio, contro i materassai dell’Atletico. L’elenco è troppo lungo per rileggerlo tutto, ci sono finali di Supercoppa e incroci fatali come tra e , Coppa Uefa 1988-‘89 (passò Maradona), insieme a snodi dimenticati come quello tra Atalanta e Inter, sempre in Uefa, un quarto di secolo fa. Rimane comunque un certo sapore strano in bocca, e negli occhi qualche riverbero diverso. (Per la cronaca, Aldo Firicano era un bravo diavolo di difensore: giocò, e segnò, nel Cagliari che nei quarti di Coppa Uefa ‘93- ’94 eliminò la , senza che nessuno ci scrivesse poi un libro).