LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - A un certo punto, il pubblico juventino ha cominciato a ululare, facendo il verso del lupo. Trattasi di un coro copiato da quelli dellAvellino appena stati in visita qui, per la Coppa Italia, ma non cè suono che meglio renda lidea: perché la Juve è davvero una squadra predatrice, con gli occhi a
La Roma ha fatto titìc e titòc per un quarto dora, mentre la Juventus sembrava una mamma che guarda giocare il suo bimbo ai giardinetti. Finché è stata ora di smettere e andare a casa. E se il bravo Garcia sapeva alla perfezione che nulla poteva ferire la sua squadra più degli incursori bianconeri, Vidal non gli ha dato né tempo né modo di evitarlo. Bastano 17 minuti perché Tevez pizzichi un assist perfetto per il cileno, il quale per lottava volta segna in modo esatto e rovinoso insieme, lama di macellaio e maglio. Da qui in avanti, la partita che non cè mai stata non ci sarà mai. Più di tutto sorprende la semplicità con cui la Juve divora lunico avversario che, in campionato, sembrava di una consistenza simile a lei, o almeno non troppo diversa. Invece era la solita illusione ottica. Perché i campioni dItalia, a parte i venti minuti di buio a Firenze e i pupazzi di neve a Istanbul, questanno non sbagliano nulla. E la Roma lentamente ne prende coscienza, dopo avere scambiato la calma iniziale della Juve per timidezza. In effetti, per quindici brevi minuti i lupi sembravano un po intorpiditi, quasi dei cagnoloni da salotto, però i romanisti non sono riusciti a concretizzare nulla dei loro estenuanti preliminari. Accarezzano, sbaciucchiano ma non vanno mai al dunque, al contrario della Juventus. Non un granché il primo tempo, quanto è bastato ai padroni per rimanere tali.
E allinizio della ripresa, ecco la seconda zannata che porta via altri pezzi di carne alla Roma: punizione di Pirlo (lui sì un poco mandorlato, forse più dalla convalescenza che dal panettone), sullo sfondo entra in scena Bonucci, colpo in spaccata e 2-0. Lunica grana, in tutto questo ben di Dio, è il malessere di Tevez costretto a uscire dopo unora per problemi muscolari, poi la Roma decide di perdere la testa insieme alla partita con due espulsioni indiscutibili: prima De Rossi che ara Chiellini, poi Castan che sulla linea respinge di pugno come Zoff, ovvio rigore, tocca a Vucinic il gusto del piccolo triplete dal dischetto, e insomma quel pallone è la pietra tombale della gara, forse la lapide del campionato. Altro che aiutini, altro che scenari alternativi. Pure il buon Totti avrà capito qual è la squadra più forte dItalia, quella che adesso può fare a gara solo col passato, soltanto contro se stessa: cioè contro la Juve degli anni Trenta, lultima capace di tre scudetti consecutivi, anzi di cinque, quella di Combi e Rosetta, Caligaris e Felice Placido Borel detto farfallino. Pionieri seppiati dal tempo, quel tempo che per gli altri è già scaduto.