THEATHLETIC.COM - In una lunga intervista al sito sportivo, Edin Dzeko ha ripercorso la sua carriera e i suoi gol con la maglia della Roma. "Non dormo mai dopo le partite. Troppi pensieri, troppi pensieri su tutto. Anche dopo una grande vittoria. Dopo ogni partita, che sia una vittoria o che sia una sconfitta, puoi analizzarla. Magari c’è stata qualche occasione in cui avrei dovuto segnare e non l’ho fatto e penso a come avrei potuto fare. O a qualche passaggio importante che non ho fatto. O alla partita in generale. Ci penso sempre molto", le sue parole.
Sull'intesa con Nainggolan e Salah: "È stato facile giocare con Radja e con Momo a destra. Loro hanno le qualità di dare i passaggi giusti, di aprire gli spazi per me e per loro stessi. Per esempio, Salah era molto veloce ma anche bravo a prendersi il pallone. Qualche volta se io avevo il pallone, lui correva già dietro ai difensori e io dovevo solo darglielo. Avevamo un ottimo rapporto, davvero ottimo. Ci capivamo l’un l’altro sul campo. Anche con Radja era così, lui giocava da numero 10 in quella stagione. È uno che capisce il calcio". Racconta: "Spalletti ci diceva sempre che 'la palla si passa dove uno va, non dove uno è'. Che è ovvio, perché se stai correndo e ti do di nuovo il pallone, devi fermarti, prendere il pallone e andare. Perdi velocità". Sul gol al Viktoria Plzen: "Sto cercando di vedere se posso passare il pallone a qualcuno, si vede. So dov’è la porta, sicuramente (ride, ndr). No, stavo guardando dentro l’area per vedere se potevo dare il pallone a qualcuno, ma vedevo tutti marcati. C’erano troppi giocatori, allora mi sono detto di provarci". E la rete al Milan nel 2017: "Succede quando ti capisci con i tuoi compagni. So che Momo è veloce, mi dà il pallone. Giochiamo un uno-due e lui sa che mi piace fermarmi e non andare in profondità. Inoltre, capisco come mi può dare meglio il pallone. Lo può fare meglio col sinistro e nello spazio con il destro. Il difensore (Paletta, ndr), è già 5 metri dentro l’area di rigore, quindi se vado lì non so se posso prendere il pallone. Quindi, mi sono fermato".
"L’allenamento è tutto. Capirsi con Momo e Radja non è una cosa che nasce dal primo giorno - dice sull'intesa con i compagni -. Parlavamo molto prima delle partite, dopo le partita, sui movimenti, su come mi piace giocare, su come a loro piace giocare. L’allenamento è tutto. È un processo. Prima ti capisci con i tuoi compagni, meglio è per la squadra".
Sul suo stile di gioco invece: "Normalmente, si dice che un numero 9 aspetti il pallone in mezzo all’area. Io non sono il tipo che aspetta un cross o qualcosa del genere. Mi piace muovermi, avere il pallone. Devo toccarlo molte volte, altrimenti mi perdo. Devo essere sempre lì. Non mi piace passare il pallone e basta, specialmente nell’ultimo terzo di campo. Quando vedo un compagno, penso 'Dov'è il difensore? Che pallone gli posso dare? Meglio nello spazio o sui piedi?' Penso sempre due secondi prima a ciò che può accadere. Perché dare il pallone e basta è facile. Non mi piace chiamare debole nessuno dei miei piedi. Ci ho lavorato. È difficile nascere calcisticamente ambidestri. Quando ho iniziato ad allenarmi da giovane, ricordo che dopo le sessioni facevamo esercitazioni sui tiri in porta. Adoro calciare col sinistro e tutti mi chiedevano perché lo facessi, io rispondevo che sapevo calciare col destro e che volevo imparare col sinistro".
Sulla rete al Torino, su assist di Kluivert, nel 2018: "In realtà, non riuscivo a vedere il pallone dopo il salto di Ola Aina. Nell’intervista dopo la partita, mi chiesero se avessi pensato a stoppare il pallone. Risposi che non l’avevo fatto nemmeno per un secondo. Per prima cosa, pensavo ai giocatori del Torino. Speravo che Aina non fosse in grado di prendere il pallone perché era difficile. Volevo metterla sul secondo palo, fu la prima cosa a venirmi in mente. E uscì bene". "Ho segnato tanti gol belli, ma questo è di un livello diverso rispetto a tutti gli altri. La distanza, la tecnica, la forza, tutto. Quando rivedo i miei gol mi piace vedere il risultato e la competizione in cui li segno. Qui era Champions League, la miglior competizione per club al mondo. E stavamo perdendo 2-1. Abbiamo realizzato il 2-2 con questo gol. Gol che non segni tutti i giorni. Io inizio il movimento da qui (indica una posizione tra le linee, ndr). Questo gol dipende anche dai tuoi compagni, da quanto è sensibile la percezione che hanno del gioco. E Federico (Fazio, ndr), è stato molto intelligente a capire dove volessi il pallone. L'ho guardato fino all’ultimissimo secondo e la palla è arrivata. Il difensore stava arrivando e semplicemente ho preso bene il pallone. A Stamford Bridge non avevo mai segnato", racconta sullo splendido gol al Chelsea in Champions League. "I tifosi! Quel lato era pieno di tifosi della Roma. Sapete come sono gli italiani. Loro mostrano le loro emozioni, la loro passione. E io lì ero come loro, ero pazzo. Lo giuro. Troppe emozioni in una sola partita, in un solo gol".
"I miei amici mi hanno chiesto biglietti prima dell’andata. Dopo il 4-1, tutti pensavano fosse finita. Quelli che avevano i biglietti sarebbero venuti all’Olimpico, anche se probabilmente alcuni di loro non volevano più farlo", ricorda sulla storica rimonta contro il Barcellona. "Abbiamo regalato al Liverpool la prima partita, concedere 5 gol è stato amaro per noi. Forse è stato per la pressione, non lo so. Abbiamo iniziato molto bene, Aleks (Kolarov, ndr), prese la traversa. Ma dopo il primo gol qualcosa è cambiato, sembravamo quasi non pensare al ritorno, al fatto che avevamo due partite. E poi, dopo aver perso 5-2...i nostri tifosi ci hanno sostenuto comunque in quel modo. Forse questo ci ha dato ancora più forza per provare a fare meglio. Un gol fa la differenza. Ricordo il secondo tempo del ritorno, non hanno passato mai la metà campo. Li abbiamo pressati e abbiamo giocato molto bene. Mi rimarrà come un qualcosa che avremmo potuto fare meglio", così sulla semifinale contro il Liverpool.
"Tanti buoni giocatori. Se ogni anno vendi un calciatore, perdi continuità. I giocatori nuovi hanno sempre bisogno di tempo per abituarsi al campionato e al club. Ma devo dire che la Roma è cresciuta molto negli ultimi quattro anni e ogni anno diventa più grande", il punto sulla squadra. Sulla fascia da capitano, ereditata dopo il passaggio di Florenzi al Valencia: "Tutto cambia, è la vita. Non ho rubato niente a nessuno, è una cosa naturale. Sono l’unico calciatore rimasto rispetto a cinque anni fa. È un privilegio per me arrivare dopo Totti e De Rossi, che sono le più grandi leggende non solo della Roma ma anche in Italia. È una responsabilità ancora più grande. Avevo 30 anni quando sono arrivato, l’anno prossimo ne avrò 34. Mi sento pronto".
Sulle critiche: "È il calcio, bisogna abituarsi. Capisco che a volte tu segni un gol e tutti ti amano. Poi non segni per 3-4 partite e quasi tutti ti odiano. Direi che è naturale. Forse è difficile per alcuni giocatori, specialmente per i più giovani. Per loro la pressione è più grande. Per esempio, sono sicuro al 100% che non è la stessa cosa fischiare me o fischiare giocatori più giovani come Kluivert. È molto più difficile per loro. Li chiamo i miei bimbi, perché sono 14 anni più vecchio di loro". "I giocatori mi dicono che ho 34 anni ma corro come uno di 22".
Infine, sui trofei: "È un peccato per un club come la Roma non aver vinto nulla in questi anni. Spero che questo possa cambiare, perché questo club merita di vincere trofei. Qui c’è tutto quello che puoi desiderare. Dobbiamo fare questo ultimo passo: vincere trofei. Ogni trofeo ti dà più fiducia che si può arrivare sempre più in alto".