Ranieri: "Lazio-Inter mi ha indignato "

19/05/2010 alle 14:53.

IL FATTO QUOTIDIANO (M. PAGANI) - Evitando le buche più dure, Claudio Ranieri si è rimesso in viaggio. Colline senesi, ulivi, quiete dopo l'apnea che fino ai titoli di coda, lo ha visto duellare per l'impossibile.

 

Un anno fa, proprio in queste ore, un gelido comunicato della lo ibernava al ruolo che più detesta. Il capro espiatorio, meno ellittico di un saggio di Renè Girad, da congedare quando le fondamenta tremano.

Dodici mesi dopo, l'uomo che cerca ricezione per una lunga conversazione telefonica sul recente passato: "Provo a spostarmi, in tutta questa pace, i telefoni recitano da comparse", ha trovato campo libero per eccellere. Nelle valutazioni di fine anno, il migliore è lui. Per media punti, partite consecutive senza sconfitte e per qualcosa che non ha rilievo statistico, ma pulsa in ogni singola considerazione. Aver riportato in vita una Roma prossima alle esequie, terrorizzando l'Inter. Avesse enunciato il proposito a settembre, con i compratori misteriosi alla porta, i tifosi in contestazione permanente e il quotidiano assedio mediatico, lo avrebbero rinchiuso per manifesta incapacità. Di intendere, volere, pensare. Consapevole del rischio, Ranieri Claudio da San Saba si è appropriato della strategia della lumaca.

Ritrovare solidarietà di intenti là dove imperava la balcanizzazione."Da piccolo, quando dopo pranzo mi precipitavo a prendere il tram per raggiungere l'Olimpico, mi aspettavo soprattutto una cosa: che la mia squadra desse tutto dall'inizio alla fine. Perdere o vincere, è secondario rispetto al fatto di potersi guardare allo specchio. Da ragazzo, pretendevo che i miei idoli dimostrassero attaccamento. Mezzo secolo dopo, ho provato a recuperare quella sensazione trasmettendola a un gruppo depresso. Ho trovato ragazzi nervosi, perché non si può ballare mentre intorno la casa crolla. Ero preoccupato dall'impatto. Dubbioso, assalito da ipotesi non proprio consolanti. Dopo una settimana, mi sono rasserenato. Ho propugnato un'idea di tranquillità che credo abbia rappresentato un punto di svolta".

Se lo cerchi all'indirizzo della boria, Ranieri non risponderà:

"Un allenatore poggia su due colonne. Le prospettive chiare e la necessità di far rispettare regole che siano uguali per tutti. Dopo aver iniziato l'avventura, ho messo l'elmetto, ma in definitiva, i giocatori lo sanno, il protagonista non sono stato io".

Però se l'è cavata.

Meno male che mi è arrivata quest'occasione. Questa è casa mia. In tanti vorrebbero allenare la squadra di cui sono tifosi e l'illusione rimane sulla carta. Io ho avuto questa fortuna e ho deciso di affrontare l'occasione senza condizionamenti ambientali.

A Roma, il proposito confina con l'utopia.

Non ho ascoltato consigli interessati, né mi sono fatto sfiorare da chiacchiere inutili. In Italia è accettato un solo culto religioso: il risultato. Solo dopo, in subordine, vengono comportamento, capacità di parlare una lingua sobria, che non scateni animi di per sé già pronti a infiammarsi.

Un anno da profeta in patria l'ha trasformata?

Io sono sempre me stesso e non sono tra quelli che nella vita hanno percorso a tutta velocità corsie preferenziali. Sono partito dall'interregionale. Venticinque anni dopo, non sono cambiato di una virgola.

Ma ha viaggiato.

La valigia che ho riempito di voci, suoni e colori distanti dall'effimero bar dello sport italiano mi è servita anche quest'anno. Ho allenato in Spagna e in Inghilterra, correndo l'azzardo di farmi dimenticare. Ma non sono un calcolatore e rifarei tutto quello che ho fatto. Amici, incontri, culture, musei, panorami. Quello che ho appreso evadendo dalla gabbia nazionale, si fidi, non ha prezzo.

Anche per questa ragione, l'avrebbero vista bene in azzurro.

Non ci avevo mai pensato. Chiaro che un giorno mi piacerebbe molto allenare la Nazionale italiana e se proprio non potesse essere quella, non disprezzerei un'altra ipotesi. Ora ho un progetto, mi è stato affidato un programma di due anni, voglio concluderlo al meglio.

E se fosse andato via?

Sarebbe equivalso a tradire e in Federazione, se ci hanno pensato davvero, capiranno perfettamente perché non ho potuto lasciare. Mal che vada sarà un arrivederci. Credo non si sia offeso nessuno, almeno spero.

Tra le fotografie di un'annata da incorniciare, la coraggiosa doppia sostituzione del derby.

Il coraggio ce l'hanno altre persone, però io prima di essere un ex curvarolo sono un tecnico. Magari vivo una scissione, ma sono pagato per allenare, scegliere, scontentare a volte. Togliere e , molto più di capitano e vice della mia squadra, mi è dispiaciuto moltissimo. Ma soffrivano. Sentivano eccessivamente le onde speciali di quella gara. Così mi sono fatto forza, certo che quello scossone avrebbe responsabilizzato ancor di più la squadra.

E' andata bene

Onestamente, se Jùlio Sergio non avesse parato il rigore di Floccari, avremmo potuto smobilitare al quinto della ripresa.

L'anno prossimo, uscire nel plauso generale sarà più difficile.

Lo sanno tutti. Ventiquattro gare senza sconfitte non sono un evento sempre ripetibile. Ma la sfida sarà più sentita, determinata, se mi passa il termine, eccitante.

Le aspettative saranno mostruose.

Ma io sono della vecchia scuola. Di ciò che è già ricordo, non sono mai soddisfatto e mettere le mani avanti, mi è sempre parso un espediente in odor di vigliaccheria. Voglio vincere. Proveremo a migliorarci, poi vedremo.

Per stimolare i suoi, continuerà a far vedere il Gladiatore?

C'è chi mostra i foglietti di carta con i movimenti e le spiegazioni tattiche e chi sceglie di motivare con le immagini. Se le dico che considero più moderno chi sceglie la seconda opzione, pecco di presunzione? Sa com'è, è un periodo particolare (ride ancora). Non vorrei che qualcuno si risentisse.

Più rimpianti o soddisfazioni?

Non posso ragionare così. Abbiamo fatto 15 punti nell'ultimo quarto d'ora, vinto partite all'ultimo istante, avuto fortuna, com'è normale, qualche volta. Poi certo, se rifletto sul Livorno ultimo in classifica, che ci ha portato via 4 punti su sei, impreco: ‘porca miseria, ma è possibile?'

Lazio-Inter è parsa un trattato di avanspettacolo.

Come sportivo, è stata un'enorme delusione. L'avevo detto prima: 'Non è possibile che nel campionato italiano le ultime tre giornate del torneo non siano giocate in contemporanea'. Con la cultura del sospetto, a volte suffragata dai fatti, presente alle nostre latitudini, far disputare tutte le gare alla stessa ora, rappresenterebbe un essenziale deterrente.

Ma?

Ma regna il business e quindi, conseguentemente, anche spettacoli come Lazio-Inter. Quello che mi ha addolorato di più è stata l'immagine che abbiamo dato all'estero. Una squadra che rinuncia alla lotta, in certi paesi, suona come uno scherzo di dubbia eleganza.

Come si vince la battaglia per uno sport pulito?

Con tifosi che incitano la loro squadra, pretendendo il massimo, senza mettere al centro dei propri dogmi le altrui disgrazie e senza necessità di spettacoli desolanti come quello dello Stadio Olimpico.

È arrabbiato?

Alcuni aspetti delle ultime settimane mi hanno indignato. Quelle parole così nette dei vincitori ad esempio: "abbiamo vinto uno scudetto contro tutto e contro tutti". Questa sicumera, anche un po' ridicola, mi fa riflettere. Non sono bastate le immagini televisive di Lazio-Inter per stendere un velo definitivo su quello che è accaduto davvero?

Duro.

Per indole, fare polemica è tra le cose che meno mi interessano al mondo. Però ci vuole onestà e una raffigurazione come quella fa sorridere. Allora chiedo a chi sostiene quelle posizioni: "Ma credete sul serio a quello che dite?". A me pare somigli da vicino alla storia dell'ultimo giapponese che non sapeva che la guerra fosse finita.

Metafora storica.

Hanno visto un film che non esisteva e nell'isola Italiana, hanno trovato tante persone che hanno abboccato a una storiella risibile. Mi lascia l'amaro in bocca. Ogni allenatore, presidente, tifoso, può declinare un suo cahier de doléances, stilare una lista delle recriminazioni, ma perlomeno chi vince in quel modo, abbia il buon gusto di non dire nulla.

Ha chiesto anche sanzioni sullo striscione che a riservava pensieri non gentilissimi.

Mi pare il minimo. È stato sanzionato ? Può starmi anche bene, però voglio vedere equanimità. Guardi, so anche chi è stato.

Materazzi?

No, lui non c'entra. Ha messo quella maglietta, ma il suo gesto, per dire, non mi ha dato fastidio.

E il ministro La Russa pronto a mischiare sacro e profano?

Non mi dà irrita che tifi per l'Inter. Mi sarei atteso però più equilibrio, una diversa equità di giudizio.

Ranieri dica la verità, domenica ci ha creduto?

Ho sperato, sofferto, pregato laicamente, ma sapevo che fino al fischio finale ogni secondo sarebbe stato utile per spegnere il nostro sogno. Sa qual è la verità?

Dica.

Qui ci meravigliamo che una squadra come il Siena faccia il proprio dovere, e non ci stupiamo o meglio disgustiamo, se una formazione non gioca affatto.

Mou saluta. Le dispiace?

Sì , è un avversario di quelli giusti. La sua mancanza si sentirà soprattutto sulla stampa. Dà titoli, qualsiasi cosa faccia, se incrocia le gambe o fa la mossa di John Travolta nella febbre del sabato sera.

E se dice che lei è un ipocrita?

Mi duole, lo preferisco in versione letteraria. Sulla Nausea di Sartre mi ha divertito.

Ottimi suggeritori comunque.

Fa il furbo, lo sappiamo. Manda qualcuno ad ascoltare cosa hai detto e poi si prepara. Vecchio trucco. Ma Sartre nel ‘64 rifiutò il premio Nobel dicendo: "Non voglio essere letto in quanto Nobel, ma solo se il mio lavoro lo merita". Ecco, se Mou permette, di Sartre mi approprio anch'io: "Mi piacerebbe essere ricordato solo perché il mio lavoro lo merita".

Meglio cenare con Zeman?

E' successo. Zdenek è una persona squisita. Abbiamo discusso intensamente e visti i suoi silenzi, converrà che la notizia è questa.