La Roma scopre la Dzeko-dipendenza

27/11/2016 alle 14:11.
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LA REPUBBLICA (M. PINCI) - A guardare la classifica, più dei gol che ha segnato rischiano di pesare quelli che non è riuscito a fare. Curioso destino quello di : nella Roma che da una settimana vive come un lutto il distacco di 7 punti dalla , l’unico promosso a prescindere è il centravanti bosniaco. Ma paradossalmente, se i suoi 15 gol hanno trascinato i giallorossi a ridosso della (un anno fa era quarta) e ai sedicesimi di Europa League (unica italiana ad aver completato la missione), quando il suo contributo sotto porta è mancato sono venute meno pure le vittorie. Dall’inizio dell’anno la squadra di è inciampata perdendo punti nove volte, cinque in campionato, due in Europa League e due nei preliminari di : in nessuna di quelle occasioni ha trovato il gol. Una specie di -dipendenza che però inchioda le responsabilità di compagni e , costretto pure col , stasera all’Olimpico, ad affidarsi a lui.

Per uno strano gioco della sorte, l’allenatore toscano simbolo della rinascita un anno fa dopo l’oscurantismo di , è addirittura in ritardo di un punto rispetto al cammino del tecnico francese. Proprio alla 14esima e all’Olimpico iniziò l’anno scorso il collasso romanista: il ko con l’Atalanta aprì una striscia nerissima lunga otto partite con in coda l’esonero di monsieur Rudi. La sua Atalanta se l’è messa alle spalle sette giorni fa, del semmai a uno scaramantico come lui (la barba l’ha lasciata crescere finché la squadra ha vinto, tagliandola soltanto dopo il ko di Bergamo) fanno paura le statistiche: cinque sconfitte consecutive, sei nelle ultime sette uscite e nemmeno lo straccio di una vittoria sul campo, l’unica è arrivata a tavolino. Ce ne sarebbe abbastanza per evocare la legge dei grandi numeri e sperare servano come monito le parole di . Che oltre a far venire il mal di pancia a annunciando di essere pronto a restare un altro anno, ha marcato la differenza tra prima e seconda: «La con le piccole vince sempre, noi dobbiamo essere più cattivi». Per una volta, pure l’allenatore è d’accordo con il suo capitano: «Ma la cattiveria non si può allenare». Insomma, o la tiri fuori da te o ti rassegni.