DAGOSPIA.COM (G. DOTTO) - La tentazione, ammetto, sarebbe di raccontare il ritorno in campo dopo una vita del grandioso Strootman, del meraviglioso egizio dal sinistro di fata, del primo double romanista di Dzeko, che aveva appena toccato il fondo ciccando orrendo a porta vuota e due minuti di vergogna addosso a un palo, magari della Roma che sfracella il Palermo. Ma mancherei di rispetto a Totti. E, dunque, alla malora Strootman, Salah e Dzeko, al diavolo Big Spalla e la quinta vittoria consecutiva. Qui a Roma le tette delle lupa hanno forma pupoide.
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Ieri, nell’Olimpico come sempre deserto, perché la Roma non si ama si discute, buona parte della ciurma ha osannato il suo idolo in tribuna e fischiato Big Spalla in panchina, colpevole d’aver trovato sconveniente che un suo giocatore, mica uno qualunque, alla vigilia di una partita importante, uscisse dai suoi proverbiali silenzi, inviolabili quando la Roma era in libero sbando e si trattava di mettere una parola buona, per diffondere guai via Rai, una bomba polemica, che ogni respiro di Totti a Roma è bomba su bomba.
L’autodistruzione in casa Roma è macelleria. Non si va per il sottile. Com’è potuto succedere che Francesco Totti, “la luce sui tetti di Roma”, il più grande calciatore della sua storia, sia potuto diventare il cancro che divora Trigoria e quel che resta dell’Olimpico, stadi presenti e futuri, spaccando in due il globo giallorosso? Eppure è successo.
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In quanto a me, che non conto un cazzo, e dunque sono un vero imperatore, ringrazio Big Spalla per indicare al mito la strada che deve seguire un mito. Sparire, quando è il momento di sparire. Abbandonare le cose che ci abbandonano. Strano e schizofrenico. Diciamo di amare Totti perché è l’icona della Roma e poi stiamo qui a piagnucolare pigri e compatti perché l’icona si ostini nel fare a pezzi se stessa, trascinandosi nel deserto. Non solo. Lo incoraggiamo a perseverare, per nulla feriti dalla malinconia che lo avvolge come la nebbia letale di Stephen King.
Aveva un modo meraviglioso il giovane Totti di mostrarsi veramente romanista. Aiutare la Roma a immaginarsi senza di lui. Impossibile, ma lui solo poteva riuscirci. Sarebbe stato il suo giusto addio, all’apice della grandezza, un suicidio sportivo da oscurare Seneca. E, invece… Lui persevera, senza nemmeno essere diabolico. Persevera, forse, perché è il primo a non immaginarsi senza Totti.
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