
LA STAMPA (BUCCHERI) - La collisione è accecante, lintreccio tanto diffuso da far scattare lallarme. Il pallone e la crisi economica sono la faccia di una stessa medaglia che, da gennaio, avrà leffetto di ribaltare le gerarchie di mercato. Il punto di partenza ruota attorno ad un interrogativo sempre più pressante. Quanto, e in che modo, il mondo del calcio continentale verrà preso in ostaggio da una finanza che non gira più nel verso giusto? La risposta ha nel football inglese il suo sfondo. Oltremanica il rosso è il colore dominante ai piani alti di club che, sul campo, continuano a raccogliere allori. Liverpool, Manchester United ed Arsenal, solo per raccontare la storia dei più belli e famosi, pagano legami con banche o sponsor finiti nel vortice del caos economico ed oggi mettono in mostra debiti da capogiro (-440 i milioni di euro per i Reds e lo United, -380 per i Gunners).
Il Chelsea è scosso, Abramovich ha visto andare in fumo oltre 150 milioni sullaltare delle fibrillazioni borsistiche, ma i Blues, seppur meno blindati, continuano ad esser studiati come il classico caso dove un magnate tappa le voragini. Club inglesi con il fiato corto uguale assi in fuga? La Premier League ha nellappeal il suo punto di forza, ma se anche la sterlina si mette di traverso (circa il 20% la sua svalutazione sulleuro) lo scenario è destinato a mutare radicalmente perché calibri del valore di Torres (spagnolo) o Ballack (tedesco) hanno nella moneta unica europea il loro potere dacquisto. «Il problema che deciderà gli equilibri del prossimo mercato sarà proprio al capitolo ingaggi: da gennaio - spiega Franco Granello, procuratore che opera nel mondo britannico - chi avrà il maggior monte stipendio potrà diventare un peso per i club che hanno legami con banche o sponsorizzazioni coinvolte nella crisi. E poi, in Inghilterra ci sono forti capitali americani come quelli di Hicks e Gillet a Liverpool o di Glazer a Manchester, club il cui futuro è legato anche alle scelte economiche di Obama».
LInghilterra guarda alle trattative del prossimo calciomercato e si tappa gli occhi perché la strada per imboccare la via del risanamento non può che passare da una minore disponibilità verso le tasche dei giocatori. La sterlina perde forza nei confronti delleuro, ma non solo. La moneta di Sua Maestà esce sconfitta anche dal duello con il dollaro andando a colpire gli stipendi delle stelle sudamericane (Tevez e Mascherano su tutti) e a vacillare sembra essere laliquota fiscale, pronta a passare dal 40 al 45%. Tradotto: cè chi, come Owen in scadenza di contratto, potrebbe ritrovarsi catapultato in unaltra realtà a parametro zero mentre colpi solo tre mesi fa impensabili (Barry valutato 18 milioni di euro dallAston Villa tre mesi fa o lo stesso Ballack) potrebbero diventare reali ad ingaggi (sontuosi) ritoccati da potenziali acquirenti. «Sarà un gennaio vivace perché vivrà sui prestiti con diritto di riscatto che, poi, nessuno farà valere», così Claudio Pasqualin, uno dei decani fra gli operatori di mercato. «I club legati alle banche finiranno fuorigioco. Quelli più solidi come i tedeschi potranno colmare il gap dovuto allo scarso appeal del loro campionato con una solidità economica in grado di attrarre più giocatori stranieri del solito», precisa lagente Carlo Pallavicino.
LInghilterra segna il passo (fatta eccezione per le fanta-offerte del City arabo), la Germania prova a riprendere quota, in Italia saranno premiate le società più «liquide» (Inter, grazie alla munificenza di Moratti, Milan, Udinese, Palermo) o avviate allautofinanziamento (Juventus), in Spagna forti sono le oscillazioni fra club che resistono agli smottamenti e società vicine al baratro. In Bundesliga domina il fattore Hoffenheim, squadra che sfugge alla logica di rigidità contabile imposta dal pallone tedesco (obbligatorio chiudere in attivo un bilancio ogni due) perché è nelle mani del magnate Dietmar Hopp, fondatore del colosso del software Sap e in testa al campionato.
La Spagna si nasconde dietro al regime fiscale favorevole (il prelievo è al 23% contro il 46 in Italia), ma i segni della crisi non mancano. Il Valencia è ad un passo dalla bancarotta e le sue stelle (da Villa a Silva) sono sul mercato. In cattive acque si muovono Siviglia e Deportivo La Coruña, mentre al Real Madrid si può già brindare ad Huntelaar perché le banche non hanno alcuna intenzione di abbandonare la Casa Blanca e il Barcellona vive il regime di cartolarizzazione sui proventi dei prossimi anni. Il resto dEuropa si scopre precario in Francia (vedi il Psg) e in Russia dove stelle come Arshavin appaiono più corteggiabili dopo il crollo del prezzo delle materie prime, fonte di ricavo dei magnati dellEst. Il cortocircuito fra crisi mondiale e calcio è servito. Chi ne uscirà perdente?