L'ultimo piano di De Vito: tornare a presiedere l'Aula

10/07/2019 alle 13:31.
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IL MESSAGGERO (S. CANETTIERI) - Dietro la porta due cani che ringhiano e poi abbaiano nervosi. Trenta secondi. Ed ecco la voce di Marcello De Vito: «Chi è? Giovanna, sei tu?». Quartiere Talenti, terzo municipio della Capitale. In un appartamento al primo piano di una palazzina immersa nel verde, con i rifiuti qua e là a punteggiare i marciapiedi, il presidente del Consiglio comunale di Roma prova a ritornare alla normalità. O qualcosa che le assomigli. Da venerdì si trova agli arresti domiciliari, dopo 105 giorni passati in carcere, a Regina Coeli. Venne arrestato lo scorso 20 marzo per corruzione nell'inchiesta sullo . Nemmeno il tempo di salire il famoso gradino che Luigi Di Maio lo espulse dal M5S. Con l'ignominia che si riserva alle «mele marce».
Secondo il dispositivo del gip Maria Paola Tomaselli, l'ex grillino non può comunicare con nessuno. Né direttamente, né indirettamente. Può parlare solo con i familiari più stretti, la figlia e la compagna. Ed è proprio Giovanna, dopo poco, a entrare dal portone, con le buste della spesa in mano. Sorride. È provata e sorpresa: «Siamo felici, lentamente Marcello sta cercando di ritornare alla normalità, ma sta bene: la notte dorme. In carcere - racconta - è stato forte: ha passato le sue giornate a studiarsi le carte del processo, si è tenuto in allenamento con tanta ginnastica e in più ha aiutato il compagno di cella, un ragazzo nigeriano, a prepararsi per l'esame di terza media. Studiavano insieme, Marcello gli dava ripetizioni d'italiano».
De Vito, per tutti Marcellone per via della corporatura da corazziere, viene descritto in forma: «Ah, sapesse che addominali che ha, il M5S me lo aveva fatto pure ingrassare», prova a sdrammatizzare Giovanna. Che di cognome fa Tadonio: anche lei grillina della prima ora nonché assessore al Terzo municipio, prima che cadesse sotto i colpi di una faida interna. Una volta tutto questo quadrante era suo, di De Vito. Il primo candidato sindaco del M5S a Roma nel 2013. Per un lungo periodo console di Roberta Lombardi in Campidoglio, ortodosso per le geografia pentastellata, la Sfinge per quel carattere un po' chiuso ed enigmatico. Tutto passato. Rimane solo una De Vito: la sorella Francesca che siede in consiglio regionale, a ricordare l'importanza di questa famiglia nel mondo capitolino pentastellato. Ora sono tutti reietti, nonostante la «mela marcia» si sia dichiarato innocente, dicendo da subito di non aver preso un euro né di aver commesso reati.

 
LA SVOLTA - Una difesa così forte che lo porta a tenere il punto: non si vuole dimettere da presidente del Consiglio comunale. Motivo che ha portato nel frattempo ad altre dimissioni: quelle di Enrico Stefàno, che avevo preso il suo posto in qualità di vice vicario nell'Aula Giulio Cesare. «Marcello quando tornerà in libertà tornerà a fare il lavoro che faceva prima in Consiglio comunale», si lascia sfuggire la moglie. Cosa significa: che giovedì, se la Cassazione dovesse togliergli le misure cautelari, si ripresenterà in Campidoglio a dare la parola alla maggioranza o all'opposizione come se nulla fosse accaduto? «Esatto», continua Giovanna.
Nel frattempo, Stefàno sarà rimpiazzato da Sara Seccia, una grillina anche lei vicina a De Vito, una volta. Al punto che l'altro giorno ha telefonato alla compagna per darle la notizia: «Porterò avanti gli insegnamenti di Marcello», ha assicurato nel corso della telefonata. Un'affermazione che potrebbe far sorridere, ma così è.
Venerdì scorso sono stati i compagni di cella ad avvisarlo della buona novella, prima degli avvocati: «Marce', te scarcerano, l'ha detto adesso il telegiornale».
Nei tre mesi precedenti De Vito ha avuto modo di prendersela con il giustizialismo del Movimento che lo ha subito scaricato («Il nostro codice etico prevede l'espulsione solo in caso di condanna», si è difeso in una lettera diffusa dagli avvocati) e si è dato una spiegazione sul perché di così tanta cinica ferocia: «Sono l'unico che ha pagato e ora mi usano per fare campagna elettorale contro la Lega», ha confessato alla deputata dem, Patrizia Prestipino che lo è andato a trovare, così come l'altro Pd Roberto Giachetti.
A fari spenti e senza annunci, solo due esponenti del M5S sono stati umani con lui: Massimiliano De Toma ed Emilio Carelli. Entrambi i parlamentari sono andati in carcere. De Vito alle politiche del 2018 era il delegato di Di Maio per il Lazio e scelse diversi candidati dei collegi uninominali. Poi tenne lezioni agli eletti sulle pratiche di buona amministrazione. Quelle che, regolamento capitolino alla mano, gli permetteranno di sedersi ancora sullo scranno più alto dell'Aula Giulio Cesare. Magari solo per un giorno, l'ultimo giorno, fa capire Giovanna strizzando gli occhi prima di chiudersi la porta dietro. I cani non abbaiano più.