Re delle acque minerali, proprietario di cliniche private, padrone del celebre Bar Rosati di piazza del Popolo, editore di provincia, parlamentare. Per due brevi stagioni presidente dell’Associazione sportiva Roma. Scomparso ieri all’età di 85 anni, il Ciarra – imprenditore nato fascista, divenuto fedelissimo di Giulio Andreotti, travolto dalle inchieste di Tangentopoli, risorto negli anni Duemila come senatore Pdl – balzò agli onori della cronaca quando, fine aprile del 1991, sotto la sua «stella» Berlusconi e De Benedetti firmarono il lodo Mondadori. Il Divo Giulio lo aveva appena convinto a rilevare la Roma rimasta orfana di Dino Viola, strappandola dalle grinfie del re del grano Pasquale Casillo. Costo dell’operazione: dieci miliardi delle vecchie lire. La prima uscita pubblica da presidente fu una sequenza di gaffe. La più memorabile, quando appena messo piede a Trigoria chiese scusa perché pensava di trovare Dino Zoff in porta. Il primo atto da presidente, invece, fu un gesto di cavalleria. Il 9 giugno 1991, a Genova, concesse a Donna Flora, vedova di Viola, di sollevare al cielo la Coppa Italia appena conquistata. Chi arrivò dopo di lui, ha raccontato di aver trovato a Trigoria uno scenario post-bellico, con giusto un paio di croste lasciate alle pareti. E però sotto la gestione un po’ cialtrona di Ciarrapico, qualcosa di sportivamente memorabile avvenne. Non per meriti suoi, ma resterà per sempre nella storia come il presidente sotto la cui gestione fece il suo esordio in Serie A un giovanissimo talento del vivaio, tal Francesco Totti. Era il 28 marzo 1993. Una settimana prima, Giuseppe Ciarrapico era stato incarcerato a Regina Coeli per bancarotta fraudolenta.
(gasport)