ILMESSAGGERO.IT (A. ANGELONI) - Allan, chi vince domani? «Ahi, qui a Napoli siamo scaramantici, non glielo dico». E via con le mani sulle parti intime, lui e i presenti nella sala stampa di Castel Volturno. Allan come un napoletano (acquisito) qualsiasi, quasi come Mertens, che da queste parti ormai chiamano Ciro. «Dries è irraggiungibile, lui vive la città in tutto e per tutto. E’ napoletano autentico. Il più napoletano degli stranieri».
E lei?
«Io mi trovo benissimo, mio figlio Miguel parla il dialetto napoletano. Napoli mi ricorda Rio, mi sento un po’ a casa: stessa allegria, stessa spensieratezza, il mare...».
Da Udine a Napoli, un trauma.
«Il vero trauma è stato da Rio a Udine. Ero giovane, all’inizio è stata dura, poi mi sono trovato alla grande. Quella, una fase importante».
Ora è leader del Napoli.
«Leader non lo so, gioco con compagni eccezionali, con un gruppo magnifico. Io cerco di fare del mio meglio, di combattere su ogni pallone».
Fino a meritare la Seleçao: è arrivata la convocazione.
«Sono anni che mi impegno, per me è una grande soddisfazione, sono felicissimo. Spero sia solo un punto di partenza. Per ora sono concentrato sul Napoli».
E sulla Roma, immaginiamo.
«In quattro anni qui, non l’ho mai battuta. Una maledizione, speriamo di invertire il trend».
Ma lo scudetto è davvero un obiettivo?
«Beh, perché no?».
La Juve è imbattibile.
«E’ la più forte, poi ha anche Ronaldo, ma non imbattibile. E comunque ci dobbiamo provare».
Che ne pensa della Roma?
«Grandissima squadra, che ha perso punti e credo non voglia perderne altri».
Ha fermato Neymar, non avrà paura di Dzeko.
«Paura no, ma lo ritengo un grande calciatore. Completo di tutto, destro, sinistro, colpo di testa. Intelligente e poi qui ci ha segnato già abbastanza. Non basta Koulibaly per fermarlo, serve tutta la squadra».
Parliamo di un suo pari ruolo, De Rossi.
«Ecco, un altro grande calciatore. Un esempio. Uno che riesce a essere indispensabile nonostante l’età. Sarà una bella sfida là in mezzo».
Capello ha detto che ricorda Emerson: dal puma, lui, al leone, lei.
«Emerson è stato importante per la Roma, per la Seleçao, in Brasile è un mito. Magari poter fare solo un pezzetto della sua carriera».
Come vincere uno scudetto?
«Lo scorso anno l’abbiamo solo sfiorato. La città impazzirebbe».
Che allenatore è Sarri?
«Con la sua maniacalità, ci ha dato un gioco spettacolare. Era divertente stare in campo, avevamo sempre la palla. Si dominava il gioco».
E Ancelotti?
«E’ un campione di vittorie. Ha un carattere diverso da Sarri, ci trasmette serenità. Lui è fatto così, ha formato un grande gruppo. Si gioca e si sorride».
Soprattutto non utilizza sempre gli stessi calciatori.
«Tutti si sentono dentro la squadra. C’è maggiore coinvolgimento anche per chi in passato era impiegato meno. L’alternanza è utile per restare sempre in condizione e per non perdersi per strada gli altri».
Anche in Champions, ci sembra, sia un Napoli di spessore.
«Anche qui c’è la mano di Ancelotti. Come sostiene lui, con la Champions sia da giocatore sia da allenatore, ha sempre avuto culo. Ecco, speriamo continui ad averne».
La Champions è un obiettivo?
«Ci sono squadre più forti di noi. Noi possiamo ambire a fare una Champions come la Roma lo scorso anno».
Altri allenatori italiani della sua carriera: Guidolin e Stramaccioni.
«Il primo mi ha accolto e insegnato le prime cose, ha creduto subito in me. Stramaccioni come carattere è simile ad Ancelotti».
Ma tra i quattro allenatori avuti, con chi andrebbe a cena? Ovvero chi è il più simpatico?
«Me li porto tutti, tanto pago io, alla faccia di chi dice che sono tirchio».
Lo si dice di molti brasiliani, perché venendo dalla povertà rispettano la ricchezza e non sprecano denaro.
«Io sono un generoso. Certo, anche io vengo dalla povertà».
Ci racconti.
«Vivevo nelle favelas di Rio de Janeiro: casa piccola, piena di gente. Non c’era molto a disposizione per vivere».
In quelle situazioni si rischia di prendere brutte strade.
«E’ vero, ma io e i miei fratelli siamo cresciuti mossi da principi sani. La scuola, l’educazione, il lavoro, e naturalmente il calcio...».
Il calcio...
«E’ la mia vita, fin da bambino. Ero sempre per strada in quell'epoca, sempre con la palla tra i piedi. Poi ho cominciato a giocare in una squadra di calcio a cinque, che non era proprio vicino casa, anzi era dalla parte opposta della città: uscivo la mattina, andavo a scuola, poi gli allenamenti. Il lungo tragitto in pullman, tornavo a casa alle dieci di sera, distrutto. Tanto tempo per prendere quelle brutte strade non ne avevo. Poi è arrivato il Vasco e, dopo il mondiale Under 20 (giocava con Juan Jesus, ndi), è arrivata l’Italia. La vita è cambiata da lì».
E ora non resta che godersi il momento.
«Per vivere una favola fino in fondo. Vincere qui, sarebbe magnifico. Cominciando dalla partita con la Roma».