IL TEMPO (E. MENGHI) - Un anno fa, di questi tempi, Spalletti lamentava una carenza di personalità, diceva «la cattiveria non si può allenare» e la ricerca della giusta mentalità continuava a tormentare la Roma, che da troppo tempo ormai non riusciva a trovarla. L’antifona sembrava la stessa anche all’inizio di questo campionato, il dilemma dell’adattabilità del modulo ai giocatori aveva tolto certezze, ma in poche settimane Di Francesco è riuscito a far scattare una molla che ha riportato equilibrio e, soprattutto, carattere.
Se c’è una cosa che non manca ai giallorossi è quella cattiveria forse non allenabile ma cresciuta a dismisura con l’«acquisto» di nuovi leader. Kolarov su tutti, è lui l’uomo copertina del momento: 5 milioni di euro (ben) spesi per portarlo a Trigoria, 6 punti in classifica ottenuti grazie a due suoi gol pesantissimi su punizione, la specialità della casa. E l’unica rete in Champions firmata dal serbo ha fatto partire la grande rimonta a Stamford Bridge. Ma Aleksandar non ha fatto centro solo in reti importanti, ha consegnato alla Roma il tassello mancante della personalità, diventando un vero e proprio trascinatore. Nei 733 minuti in Serie A (a 31 anni non ha saltato una partita finora) ha provato 33 attacchi, creato 5 occasioni da gol, tirato 9 volte e fatto 4 assist.
I numeri non dicono quanto pesi la sua presenza nello spogliatoio, ma uno spaccato del suo carattere lo si può evincere dalle parole che ha pronunciato a caldo dopo il tiro da 3 punti a Torino: «Bisogna vincere sempre per dimostrare di essere una squadra forte. presto per parlare di scudetto». Ragiona da leader, lo è e ha trovato nel gruppo giallorosso un vecchio amico che lo è diventato: Dzeko si sta facendo grande non solo a suon di gol (il 2-2 contro il Chelsea è stato eletto come migliore della settimana di Champions dall’Uefa) e record, ma anche e soprattutto per la grinta che mette in campo e la disponibilità verso i compagni. Le urla scambiate con Strootman domenica, sono il simbolo del cambiamento del numero 9, che un anno fa aveva bisogno dello «scudo» umano di De Rossi per difendersi dai detrattori. Ora pure lui fa parte dei senatori, ci è entrato in punta di piedi, ma con pieno diritto si è accomodato al tavolo con i vari Strootman, Nainggolan e lo stesso Daniele. Il tasso di leadership della squadra è lievitato e Di Francesco ne sta raccogliendo i frutti: è maturato lui stesso assieme ai suoi giocatori, diventando il tecnico più bravo nella prima esperienza in una «big». Con 18 punti in 8 giornate ha fatto meglio di Allegri (17 col Milan nel 2010-11), Montella (16, sempre coi rossoneri), Sarri (15 col suo primo Napoli) e pure del suo predecessore, Spalletti, che passando da Udine alla capitale ottenne appena 9 punti.
Il dato carente riguarda le partite casalinghe, solamente un terzo del bottino totale è arrivato all’Olimpico, dove i giallorossi hanno incassato tutti i 5 gol subiti fin qui. Un trend discordante con la passata stagione in cui si poteva vantare uno stadio-fortezza. La Roma ha l’occasione di rifarsi nel giro di quattro giorni: domani arriva il Crotone e sabato il Bologna sprovvisto dell’ex Torosidis e di Palacio. Si resta a casa anche col vento della Champions, nella notte di Halloween sarà il Chelsea a bussare alla porta, ma dopo il pareggio di forza a Londra gli uomini di Conte fanno un po’ meno paura. I nuovi leader hanno preso per mano la Roma, guidandola in campionato e in Europa, ma nelle prossime tre sfide potrà tornare utile un vecchio valore: il fattore casa.