GASPORT (M. CECCHINI) - Sono passati esattamente 30 anni da quando Italo Calvino realizzò (non per intero) le sue «Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio». Quel millennio è arrivato, ma a darci lezioni americane di chiarezza e visibilità – magari stilisticamente poco calviniane ma di certo impeccabili – stavolta è toccato a un uomo d’affari bostoniano che ha trovato parole per gli ultrà finora rimaste a galleggiare nei corridoi.
Per James Pallotta quei tifosi della Roma che sabato scorso hanno esposto striscioni contro Antonella Leardi, madre di ciro Esposito, sono «degli stronzi e dei fottuti bastardi». Frasi pronunciate in diretta radiofonica, secche come frustate, che hanno spazzato via il ricordo del comunicato ritardato ed esangue del giorno di Pasquetta, che salmodiando una sorta di «Spoon River» dei morti da stadio, parlava di «sconfitta della società civile, al di là delle appartenenze», sfiorando però il rischio di accarezzare il concetto: tutti colpevoli, nessun colpevole. Il pensiero vero di Pallotta è inequivocabile. Pur contestando la sanzione della chiusura della Curva Sud – ed è la sesta volta che accade sotto la sua presidenza – il presidente ha detto di essere stanco che una parte importante dei tifosi del suo club siano perennemente messi all’indice per violenze, razzismo o discriminazione territoriale. Altro che la retorica del «12° uomo» o della «purezza» delle Curve: se si vuole recuperare nel nostro calcio civiltà e business, occorre che i «fottuti idioti» vadano a casa. Meglio se per sempre.
La lezione al nostro calcio è evidente: mai nessun presidente aveva parlato in questo modo dei propri ultrà, e sì che di motivi in questi ultimi anni ce ne sono stati fin troppi. Pallotta, tra l’altro, questa è la seconda volta che sale in cattedra ne confronti dei nostri veleni. Ricordate le parole di fair play che aveva regalato dopo la discussa sconfitta dei giallorossi a Torino contro la Juve? Un dirigente italico avrebbe sollevato le piazze, il presidente bostoniano invece cerco di frenare la lingua della squadra, peraltro senza fortuna. Certo, la via per il cambiamento è lastricata anche di decisioni discutibili dovuti forse alla larghezza dell’Oceano Atlantico. In parecchi, infatti, ricordano come meno di un mese fa i cancelli di Trigoria furono aperti ad un gruppo di ultrà che voleva incontrare la squadra, tra l’altro pochi giorni più tardi sottoposta a una imbarazzante gogna pubblica sotto la Sud dopo il k.o. in Europa League. Ma se è giusto chiedere a Pallotta di fare ancora di più (attendiamo, in stile Chelsea, l’annullamento degli abbonamenti agli ultrà identificati), sarebbe bello che tutti i presidenti di unissero al suo messaggio. Non aspettiamo che le lezioni americane, stavolta, arrivino a sei. Potrebbe essere troppo tardi.