Mia Hamm: “Progetto Pallotta? il passato di Roma per farne il futuro”

01/03/2015 alle 09:56.
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GASPORT (M. CECCHINI) - Per avere una idea di cosa rappresenti nel mondo dello sport questa elegante statunitense che – seduta davanti a noi – ci sorride gentile, basti ricordare ciò che ha detto qualche tempo fa Philip Knight, cofondatore della Nike: «Dei tanti atleti con cui abbiamo collaborato, solo tre hanno portato la propria disciplina in una nuova dimensione: Michael Jordan, Tiger Woods e Mia Hamm». Nessuna meraviglia. La Hamm, 42 anni, da ottobre cooptata nel Cda della Roma – a cui domani prenderà parte per la prima volta – è stata la più forte calciatrice di tutti i tempi. Un’attaccante che a 15 anni era già in Nazionale per poi segnare 158 reti in 275 partite. Quanto basta per vincere in 17 anni, 2 Mondiali, 2 ori e un argento olimpici, entrando di diritto nella lista Fifa dei 125 migliori calciatori di ogni epoca, lista che – oltre a lei – comprende solo un’altra donna (Michelle Akers, Usa).

Signora Hamm, come ci si sente ad essere in compagnia di Jordan, Woods e il gotha del football?
«Be’, sono onorata, ma tutto ciò che ho fatto è stato solo per il mio Paese, i tifosi e il calcio».

Perché ha accettato la proposta di Pallotta?
«Ho pensato che fosse una grande opportunità far parte di uno dei più grandi club del mondo. Jim guarda sempre avanti. È uno che fa sempre ciò che pensa e dice. Vuole usare il passato di Roma, che ha una grande storia, per vivere nel presente e costruire un grande futuro. Ma non voglio essere solo un nome di richiamo: desidero portare la mia esperienza per fare crescere il club».

Fra poco ci sarà una sfida che per lei sarà una specie di derby del cuore, quello con la .
«In effetti da piccola ho vissuto quasi due anni a Firenze perché mio padre Bill si era trasferito lì per l’università, appassionandosi al football. I miei primi calci li ho tirati nelle piazze fiorentine. Il cuore diviso però sarà per papà, perché io ho i ricordi veri li ho dal 1990, quando andammo a vivere per un periodo a Roma e vidi qualche partita del Mondiale italiano».

E allora si sbilanci sulla sfida di Europa League.
«Sono sempre ottimista: ci saranno rivalità e rispetto, ma vincerà entrambe le partite la Roma per 1-0».
Ora però c’è la : il suo ottimismo arriva anche a considerare ancora aperta la lotta scudetto?
«Si affacci fuori e veda come si allena la squadra: stanno preparandosi al massimo per vincere. Ho incontrato e gli altri giocatori e li ho visti carichi. Quando hai vicino uno come Pallotta è normale: lui dà un’energia speciale».

I personaggi simbolo del calcio italiano attuale?
«Dico ovviamente e , ma anche Pirlo. In passato impazzivo per Baggio e Schillaci».

Flashback sul passato: i più grandi?
«Cruijff sicuramente, ho visto molti video su di lui, ma forse Maradona rimane il migliore. Vivevo in Texas e vedevo le sue gare su un canale messicano: non capivo molto le telecronache in spagnolo, ma era fenomenale. Il gol segnato all’Inghilterra al Mondiale 1986, rimane indelebile».

Il nostro calcio, però, ha perso i Maradona e nel frattempo si è ammalato di violenza e razzismo: qual è la cura?
«In campo non esiste discriminazione. Bisogna avere zero tolleranza per violenza e razzismo. Dovremmo educare i tifosi al rispetto perché lo vogliono tutti i giocatori del mondo».

Pur vivendo a Los Angeles, lei è nata in Alabama, uno degli stati Usa che spesso nel passato è stato associato al razzismo.
«Quando siamo andati via ero troppo giovane, ma le dico solo che i miei genitori hanno adottato due dei miei fratelli, uno dei quali è per metà thailandese e l’altro afroamericano. Nella gente io guardo la personalità, non il colore della pelle o la situazione economica. Papà e mamma sono stati d’esempio».

Quanto l’ha segnata la morte di suo fratello Garrett (per anemia aplastica, ndr)?
«Tantissimo. Era il mio idolo. E’ morto a 28 anni e mi ha aiutato ad essere la donna che sono oggi. Ha avuto influenza anche nella mia vita perché era grande atleta. Aveva umiltà, senso dell’umorismo e coraggio. Ha combattuto la malattia fino all’ultimo».

A proposito di problemi fisici, il paradosso è che lei è nata con una malformazione ad entrambi i piedi (il cosiddetto piede equino, ndr).
«È vero, nel primo anno di vita ho dovuto ingessarli per correggere il difetto, e mia madre mi racconta che piangevo ogni volta che dovevo cambiare il gesso».

Suo marito (il secondo, ndr) Nomar Garciaparra è stato una stella del baseball: è un vantaggio o un problema dividere la casa con un altro sportivo?
«Be’, avere un compagno così aiuta perché, quando eravamo in attività, se una partita andava male non potevamo dire: “È solo un gioco”. Entrambi infatti sapevamo gli sforzi che si fanno quando sei un professionista. Ci siamo dati sempre forza a vicenda, anche se (ride) mio marito ogni tanto preferirebbe che non conoscessi bene lo sport così da evitare di ricevere tanti consigli da me».

L’Italia è una delle patrie del calcio, perché il movimento femminile non riesce a decollare?
«Qui c’è una tradizione diversa. Occorrono successi per farlo decollare, non basta la curiosità. Ad esempio, l’Italia per l’ultimo Mondiale non si è qualificata ed è stato un peccato: ci dovrebbe essere più continuità».

Se fosse ancora calciatrice, da quale tecnico le piacerebbe essere allenata?
«Wenger e Guardiola, hanno stili differenti ma mi piacciono entrambi».

La sua popolarità negli Usa è così grande che le hanno dedicato una Barbie: le sue figlie qualche volta ci giocano?
«Ho due gemelle (Grace e Ava, 7 anni, più un maschio, Garrett, 3) che invoglio a fare sport, ma le assicuro che non hanno mai visto la mia Barbie. Sarò chiusa sicuramente in qualche scatola in giro per la casa…».