IL FATTO QUOTIDIANO (C. A. BISCOTTO) - Che il calcio sia ospitato sulle pagine del New York Times è già alquanto insolito. Che poi a fare notizia con un lungo articolo in prima pagina a firma Sam Borden non sia il Barcellona o il Real Madrid o il Manchester United, ma la Roma, più che insolito è sorprendente. In realtà a incuriosire il più autorevole quotidiano americano è stato l’imprenditore Jim Pallotta che dall’agosto 2011 è uno dei quattro proprietari della As Roma e dall’agosto 2012 ne è il presidente. Su Jim Pallotta, appassionato di sport e membro del comitato esecutivo dei Boston Celtics, a Roma già fioriscono gli aneddoti e le leggende. Qualcuno racconta che l’anno scorso mentre visitava la Cappella Sistina ebbe la malaugurata idea di scattare una foto con il cellulare. Immediatamente il gruppetto fu avvicinato da un custode il quale però non ebbe nemmeno il tempo di ammonire i trasgressori. Aveva riconosciuto il presidente della Roma. “Presidente Pallotta!”, esclamò il custode gettandogli quasi le braccia al collo. “Facciamoci una foto tutti insieme”. Se l’episodio non è vero, sicuramente è verosimile ed è indicativo del clima di rinnovato entusiasmo della tifoseria romanista.
OVVIAMENTE non tutti i tifosi sono così entusiasti. A molti non va giù l’idea della squadra del cuore venduta agli americani e sono in tanti a non gradire alcune decisioni prese dal nuovo presidente, ad esempio quella di modificare il logo della squadra. Ma i buoni risultati ottenuti quest’anno con Rudi Garcia hanno messo la sordina alle critiche dell’ala più dura e intransigente della tifoseria, quella che – lo ricorda il New York Times –l’anno passato inalberava striscioni del tipo Yanke e go home e intonava coretti sfottenti. Ma Jim Pallotta non si è fatto né intimidire né impressionare e ha tirato dritto per la sua strada e ieri ha annunciato alla stampa il progetto del nuovo stadio di proprietà della società capitolina, uno stadio già ribattezzato ”Colosseo 2.0”. La presentazione ha avuto luogo in Campidoglio alla presenza del progettista, l’architetto Dan Meis, del sindaco e della squadra al completo. Costo dello stadio: 300 milioni. Investimento complessivo: un miliardo.
CAPIENZA: 52.500 posti estendibili a 60.000. Il presidente era raggiante: “I tifosi delle squadre avversarie si troveranno davanti un muro e per loro non sarà facile venire a giocare a Roma. Il nome del nuovo stadio? Non certo Francesco Totti. Non mi pare carino intitolare uno stadio a una persona ancora in vita”. Totti, seduto in prima fila, ha sorriso e commentato: “Fa venire la pelle d’oca”. “Il progetto è finanziato esclusivamente con investimenti privati”, ha tenuto a precisare Pallotta. Solo il sindaco Marino si è assunto lo spiacevole ruolo del guastafeste: “Sia ben chiaro: lo stadio aprirà solo se verranno completate tutte le infrastrutture, in particolare quelle per garantire la viabilità”. Secondo il New York Times Pallotta è la persona giusta per lanciare la Roma nell’empireo del calcio accanto a squadroni come Barcellona, Real Madrid, Manchester United, Bayern Monaco, eccetera. Il calcio è un fenomeno globale e la Roma deve essere sprovincializzata, ha fatto capire il nuovo presidente fin dal suo insediamento. Infatti, il Bayern ha appena aperto un ufficio a New York, mentre Barcellona e Manchester United guardano con interesse al mercato asiatico. Ma il compito non è agevole, in particolar modo, scrive Sam Borden, a causa della cultura arretrata del calcio italiano, della sua storia e della burocrazia che soffoca il Paese. Sean Barror, responsabile commerciale della Roma e amico di Pallotta, ha paragonato la situazione del calcio italiano a quella del calcio inglese nei primi anni 90. Una medaglia che ha anche il suo rovescio. Se Pallotta e i suoi soci sono riusciti ad acquistare nel 2011 due terzi della società per appena 89 milioni di dollari, in fondo debbono ringraziare lo stato di crisi non solo della Roma, ma dell’intero sistema calcio italiano: calo di presenze negli stadi, fuga di molti grandi campioni verso altri campionati, minore appeal delle squadre italiane, ridotti introiti pubblicitari. “In Italia c’è un problema di infrastrutture – ha sottolineato Barror – Noi dobbiamo seguire l’esempio inglese e tedesco rinnovando l’immagine e progettando il futuro”.
IL NUOVO CEO della Roma, Italo Zanzi, ha le idee chiare: “Il calcio è un business e come tale va affrontato. Sembra una affermazione banale, eppure nel mondo del calcio non tutti la condividono”. Il motivo? Semplice: il calcio è stato per moltissimi presidenti-mecenati un veicolo pubblicitario per le loro attività imprenditoriali e/o politiche. Bastava comprare sul mercato grossi nomi e finire sulle prime pagine dei giornali. Così si sono accumulati debiti e si è perso il treno della modernizzazione del settore. Riuscirà Pallotta dove tutti hanno fallito? De Rossi, una delle bandiere della società giallorossa, ci crede: “Amo gli Stati Uniti e ho sempre desiderato andarci a vivere. La cosa buffa è che per colpa di un americano questo mio sogno non si potrà realizzare. Ma grazie a lui si realizzerà quello di una grande Roma”.