RETESPORT - Juan Jesus, ex giocatore della Roma che ha lasciato Trigoria al termine della stagione dopo che il suo contratto è scaduto, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni dell'emittente radiofonica in cui ha ripercorso la propria carriera in giallorosso, del suo rapporto con Fonseca e dell'esperienza con Spalletti. Queste le sue parole: "Ho sempre dimostrato quello che mi veniva dal cuore, chi mi conosce sa che sono un ragazzo serio, sincero e cerco sempre di trasmetterlo. Ho trascorso 5 anni bellissimi a Roma, mio figlio è nato a Roma, il mio legame con la città va oltre la squadra. Mi dispiace tanto andare via da Roma, ma il calcio è così, sarò sempre un tifoso della Roma".
Ti piacerebbe tornare a vivere a Roma dopo la carriera da calciatore?
"In futuro non so cosa accadrà, adesso per me è importante prendere anche la cittadinanza italiana dopo 10 anni vissuti qui, non so se vivrò qui o in Brasile, quando ho lasciato la mia terra avevo 20 anni, la mia famiglia mi manca sempre, convivere con la famiglia è sempre importante, capirò più avanti se vivere a Roma o a Milano".
Cosa ti porti dietro dell’esperienza a Roma e cosa cambieresti?
"Io nei cinque anni che ho vissuto a Roma li ho sempre vissuto al massimo da professionista, ho giocato tanto nei primi tre anni poi molto poco nelle ultime due stagioni. Avevo la possibilità di andare via, ma per la mia famiglia, per evitare spostamenti ai miei figli che avrebbero dovuto cambiare scuola, ho scelto di restare. Pensavo di poter aiutare la Roma, mi sono sempre allenato bene, ho rispettato tutte le decisioni. Non cambierei nulla, perché credo che tutto ciò che succede, accade per un motivo. Sono cresciuto come uomo, ho vissuto momenti strani, ma mi sento comunque migliorato".
C’è una persona che ti porti nel cuore?
"Tutti quanti, tutti quelli che ho incontrato in questi 5 anni, perché tutti hanno fatto parte della mia vita, tanti mi hanno aiutato nei momenti belli e in quelli brutti. Certamente sento tanti ragazzi, Totti, De Rossi. Daniele per me è come un fratello, ci siamo legati tanto e mi hanno permesso di crescere".
Cosa pensi della nazionale azzurra?
"Sono brasiliano, sono nato in Brasile, difenderò e penserò sempre ai colori brasiliani, con tutto il rispetto di Toloi, Jorginho e Emerson. Conosco bene Mancini, gli azzurri possono fare bene. Quando eravamo insieme all’Inter, per i suoi metodi di lavoro, ho sempre pensato che facesse bene in Nazionale, faccio il tifo per loro".
Cosa non ha funzionato con Fonseca?
"Se andiamo a vedere le partite che ho giocato ho sempre fatto il mio, sono sempre stato professionale. Sinceramente non so perché lui non mi abbia mai considerato, ero sempre disponibile, mi sono sempre allenato, anche quando ho giocato 5 minuti, ho sempre dato il massimo. Se non ho giocato di più, non è dipeso dalle mie condizioni, sono sempre stato a disposizione, tranne quei 20 giorni a marzo che ho avuto il Covid".
Che cosa ha portato giocatori come te, come Fazio, a scegliere di restare a Roma nonostante non ci fosse più spazio? Non avevi voglia di andare a giocare?
"Capisco il pensiero di tante persone, molti me lo hanno chiesto. Io pensavo di avere qualcosa da dare alla squadra, ho sempre cercato di mettere in difficoltà l’allenatore. Molti pensano solo agli stipendi, io sono 14 anni che gioco a pallone, ho corso dietro ai miei sogni, sono arrivato fino a qui per meriti di tante persone che mi hanno aiutato ma anche per meriti miei. Ho pensato molto alla mia famiglia, mio figlio è molto piccolo, è difficile per lui immaginare un inserimento da un’altra parte, ho riflettuto tanto su queste situazioni. Nutrivo sinceramente la voglia di mettermi in gioco, di dimostrare qui il mio valore, di far capire che potessi essere ancora all’altezza, mi sono sempre allenato al 100%. Complessivamente il mio bilancio a Roma è positivo, ho avuto un allenatore fantastico come Spalletti, che diceva ‘non conta tanto quello che vinci, ma la persona che sei’. Quello che lascio alla mia famiglia non è quello che vinco, ma quello che sono".