
IL ROMANISTA (M. IZZI) - Pochi giorni fa Maurizio Costanzo, nella rubrica Pensieri Giallorossi scriveva di augurarsi che la Lazio si salvi dalla serie B. Il breve corsivo mi ha dato lo spunto per una riflessione su quelle che sono le posizioni del mondo giallo-rosso rispetto alla questione. Sono arrivato alla conclusione che nel mondo giallo-rosso si possono individuare tre modi principali di guardare ai destini laziali.
Il primo comprende la grande maggioranza degli appassionati della Lupa, ed auspica una retrocessione ..
Il primo comprende la grande maggioranza degli appassionati della Lupa, ed auspica una retrocessione
della Lazio, possibilmente allultima giornata su autorete decisiva di uno dei baldi atleti tesserati da Lotito. Nella seconda schiera, decisamente minoritaria, abbiamo i buonisti, quelli che per dirla alla Enzo Jannacci: «Speriamo che la Lazio si salva, poi arrivano a casa e stappano una bottiglia di Don Perignon per bagnare il B day ». Esiste però, ed è questo lo scopo autentico del mio articolo, un terzo fronte, elitario, che coinvolge i primi tra pari delluniverso romanista. Questa fazione pretende di dimostrare al di là di ogni ragionevole
dubbio che la Lazio non esiste. Non si tratta di una boutade o di un tentativo di sfottò estremo. Non ci riferiamo, cioè, al vecchio adagio secondo cui in undici stagioni la Lazio è mancata allappello della serie A e dunque non esiste. Il nostro ragionamento muove da diversi rilievi di carattere storico.
Il 6 giugno 1927, presso la sede della Lazio, si svolse lincontro finale tra i rappresentanti dellAlba, della Fortitudo e del club biancoceleste per cercare di assorbire gli aquilotti nella fusione che avrebbe dato vita alla Roma. Si trattò di un proforma, operato ad uso e consumo delle alte gerarchie del partito, per dimostrare che sino allultimo si era fatto di tutto per dare osservanza al clima di concordia fascista che si voleva imporre alla nazione. Italo Foschi, però, badate bene, non prese parte a quellincontro. Voleva dimostrare, anche simbolicamente, che la presenza o meno della Lazio non spostava di una virgola leccezionale rilievo della nascita di un sodalizio che prendeva, davanti agli occhi del mondo, il nome di AS Roma. Con quel gesto,
consapevolmente, Italo Foschi ha azzerato la storia quasi trentennale della Lazio, lha privata, di fatto, di una propria autonomia. La Lazio e il laziale, da quel giorno vivono sul presupposto dellantiromanismo.
Non mi ha sorpreso leggere che in un ideale museo bianco-celeste, si vorrebbe ospitare una maglia del Liverpool. Loro, esistono solo in funzione della contrapposizione con la Lupa. Di più, loro, dal 7 giugno 1927 hanno smesso di esistere.
La Roma, richiamandosi nel nome ad un impero millenario ha privato la Lazio di una reale ragione di essere e pochi anni più tardi, lha privata anche del giocatore simbolo, Fulvio Bernardini. Non cè stato Sclavi, né Piola, né Wilson che tengano il confronto, Bernardini, a metà degli Anni Venti era la Lazio, il suo volto per i tifosi biancocelesti valeva più di una bandiera, era unincisione nella pietra che recitava: IO SONO!. Ed ecco che nel 1928 Fulvio passa alla Roma, ma non basta, immediatamente si vota alla maglia che indossa, completamente. Bernardini è stato la Lazio, ma quando la Roma ancora non cera nata la Lupa, spontaneamente, le si è votato. Il passato dimenticato, bruciato tanto che Fulvio nei primi anni del suo passaggio alla Roma, nei derby rifiutava persino di farsi fotografare con i vecchi compagni.
La Roma ha avuto il potere di cancellare lidentità della Lazio, di disarticolare le sue radici, renderle vaghe, fragili. Negli anni a venire, come una maledizione, non cè stata una bandiera di questa società che abbia sopravvissuto al tempo. Allinizio degli Anni 70 sembrò che Giorgio Chinaglia fosse riuscito a ridare alla Lazio la consapevolezza di se stessa. Ricordate il dito alzato di Giorgione sotto la Curva Sud? Quel dito era un urlo
di identità: Ci sono
esisto
sono davanti e contro di voi
sono la Lazio!. Un manifesto potente, ed anche i romanisti cedettero che veramente la Lazio, avesse trovato la sua identità.Fu però un fuoco di paglia, nella stagione 1974/75 lanno successivo al titolo, Chinaglia, dopo i due derby persi bruciò le maglie sculettate. In quel falò iniziò ad andare in fumo, nuovamente, lidentità ritrovata della Lazio, capace di consumarsi, fino ad incenerirsi, nel peso di una rivalità, che la storia non le permette di sostenere. Chinaglia completò poi lopera fuggendo negli Stati Uniti e i suoi periodici ritorni si sono abbattuti sulla Lazio come una calamità rovinosa, rischiando di cancellarla per sempre dal calcio professionistico.
Verso la fine degli Anni 90 una terza incarnazione della Lazio tentò nuovamente di affermare la propria esistenza. Un nuovo scudetto, le coppe, tutto inutile, alla prova del nove, a cancellare anni di vittorie bastò lautorete di Negro. Il popolo biancoceleste sprofondo in una crisi didentità aggravata dallo scudetto della Roma, sino a toccare il vertice in quel derby in cui Alessandro Nesta, il capitano dello scudetto, chiese di lasciare il campo non reggendo più il confronto con Delvecchio. Quel giorno, ancora una volta, la Lazio iniziò a chiedersi: "chi sono?". Quel giorno, ancora una volta si dimostrò che la Lazio non cera. Non esisteva.