LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Saluti da Empoli, ora divertitevi tra voi: è questo il messaggio stampato sulla cartolina che la Roma spedisce al campionato. Le immagini di copertina del pomeriggio al Castellani sono la sesta vittoria di fila e la doppietta di El Shaarawy, 4 gol in 5 gare con la Roma, rappresentante principe della rivoluzione d’inverno che ha cambiato il volto della squadra tornata terza. E che paradossalmente alimenta i rimpianti per quel che poteva essere e (forse) non sarà. Certo stamattina, svegliandosi, a Trigoria potranno leggere di una classifica che li vede nuovamente terzi, con la prospettiva di godersi in poltrona la due giorni di scontri diretti, Fiorentina-Napoli lunedì e Juventus-Inter stasera. Domandandosi inaspettatamente cosa doversi augurare. Già, perché oggi la Roma sfoggia di nuovo il miglior attacco della serie A, 55 gol, uno più del Napoli, e scopre che il primo posto è lontano appena cinque punti, quattro il secondo e con lo scontro diretto da giocare in casa.
Lui, Spalletti, al giochino di scegliere se guardare avanti o dietro non si presta, ancora: «Non culliamoci sui risultati». Ma da domani bar e mercati della capitale si chiederanno, con un po’ di rammarico: “Dove sarebbe oggi la Roma se si fosse cambiato prima?”. Perché Spalletti ha trasformato l’armata Brancaleone eliminata a dicembre dallo Spezia in coppa Italia in un esercito che da un mese non sa far altro che vincere: 18 punti, 18 gol e solo 3 subiti nelle ultime 6 gare. Non le ha impedito di violare Empoli nemmeno la più dolorosa questione della storia giallorossa: l’abiura di Francesco Totti, la rottura pubblica e reciproca di una settimana fa con l’allenatore mista all’ansia per l’arrivo di Pallotta, che in queste ore sbarcherà in città per parlare con lui dell’eventualità o meno di un rinnovo per un anno. Con Dzeko e Salah la Roma aveva scavallato la domenica di passione tottiana asfaltando sotto 5 gol il Palermo, s’è ripetuta grazie a Pjanic e El Shaarawy facendone 3 all’Empoli. Masticandolo pure se dimezzata - Manolas, Florenzi e Dzeko influenzati, Nainggolan uscito dopo mezz’ora per un infortunio al polpaccio - pure soffrendo. Spalletti è passato in 45 minuti dall’irriverente linguaccia del primo tempo, forse all’arbitro, forse a un collaboratore, al segno della croce dopo il 3-1, tributo a entità celesti che evidentemente vegliano la sua Roma (sull’1-2 contatto sospetto tra Zukanovic e Maccarone in area romanista, ignorato da Gervasoni). Succede persino che l’allenatore riesca a ignorare l’ennesimo scherzo di Totti in panchina, una bottiglietta rovesciata sul seggiolino del team manager, e anzi spinga il capitano, quasi abbracciandolo, sotto la curva in trasferta che canta i nomi di entrambi, rimangiandosi i fischi ingiusti di sette giorni fa all’Olimpico. Ai più attenti Empoli ha detto pure che, in questa Roma, Totti non gioca dall’inizio nemmeno quando manca Dzeko (“Volevo metterlo nel finale, ma la squadra faticava”, spiega Spalletti). La notizia è che, in una giornata così e dopo un mese come questo, alla questione non fa più caso (quasi) nessuno.