Francesco Totti, ti voglio bene perché non sei stato il mio idolo

28/05/2017 alle 16:34.
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La prima volta che ho visto giocare era il 1993. Ho pensato che fosse un giovane promettente. Un mio compagno di classe, peraltro tifoso laziale, che aveva visto la stessa partita per gufare la Roma, mi disse: “Vai tranquillo, lui è il centravanti della Nazionale del futuro”. “Ma dai, è presto”, gli risposi. Mi sembrava troppo.

La prima volta che mi hanno chiesto di scrivere un articolo su , non volevo farlo. Ovviamente mi guardai bene dal dirlo ai miei capi e lo scrissi lo stesso. Era il 2004, non solo era finito in Nazionale, ma era anche il mio idolo, e scrivere di mi sembrava troppo.

Oggi, che lavoro nella Roma, spero sempre di non incontrarlo. Potrei scoprire che non si è lavato le orecchie o che gli è rimasta la verdura in mezzo ai denti. Anche se non è più il mio idolo, è decisamente troppo.

Troppo forte, per cominciare. Non devo certo dirlo io, dato che nel tempo se n’è accorto anche chi lo denigrava, o per miopia o per interesse. Però, siccome in questi giorni ho visto tante sue immagini, voglio provarci lo stesso.

Basterebbe solo la sua dote principale: la giocata di prima per lanciare un compagno dandogli le spalle. Non si tratta di saper leggere il gioco, è qualcosa di più. Per leggere devi usare gli occhi. Lui invece, dato che non guarda, immagina la linea di passaggio alla quale nessuno pensa, né gli avversari né a volte i compagni di squadra. In questi anni la Roma ha segnato qualche gol in meno perché il compagno partiva in ritardo, sorpreso anche lui dalla genialità del passaggio cui aveva pensato e del modo in cui lo aveva eseguito. Lo stupore che ne deriva è spesso, sì, “Ma come ha fatto?”, ma ancor più spesso, anzi sempre, è “Ma come ha fatto a pensarlo?”. In realtà è un qualcosa che va oltre lo stupore. È Rivelazione. Nessuno avrebbe pensato che quel passaggio fosse possibile, se non lo avesse immaginato lui. Non è semplice creatività, è Creazione. Attenzione, però: non è un creatore di gioco, è un Creatore del Gioco. Dà una forma diversa e nuova al Gioco, lo plasma non secondo le sue voglie ma per renderlo migliore, perché il calcio è uno sport di squadra e le sue invenzioni hanno bisogno dei compagni, i quali ne hanno bisogno per esserne valorizzati. Quel passaggio ti costringe a guardare tutta un’azione, compreso ciò che avviene prima e ciò che avviene dopo il suo tocco. Non l’ho mai visto tentare qualcosa di fine a se stesso. Ad ogni invenzione, dona qualcosa di se stesso al Gioco. È un passo oltre la “semplice” creatività, quella porta anche “solo” a giocate singole o prodezze, e da questo punto di vista ci sono e ci sono stati giocatori superiori a lui (per quanto, quel sinistro al volo a Genova…).

E poi c’è tanto altro. Oltre alla combinazione di pensiero e azione, raramente s’è vista una tale combinazione di piedi e fisico. Unite tutto al già descritto senso del gioco e ne viene fuori un calciatore che è stato trequartista, seconda punta, esterno sinistro e centravanti e in tutti questi ruoli si è espresso a livelli assoluti. Ha segnato 307 gol con la Roma, ma solo dai 30 anni in poi il numero di gol può essere considerato un indicatore del suo rendimento, perché solo a 30 anni si è messo a fare il centravanti. I gol, come i passaggi e le giocate di prima, sono venuti in qualsiasi modo. Credo proprio che siano in pochi a sommare una tale varietà di soluzioni, intelligenza tattica, continuità e longevità.

Per questo era il mio idolo.

Troppo forte, sì. Ma non è l’unico “troppo”. Troppa, decisamente troppa, è stata l’intensità con cui ogni tifoso romanista ha vissuto . Con tante forme di esagerazione, razionalmente lo sappiamo tutti. Ma non era possibile viverlo in altro modo, perché dentro ci sono finite troppe cose. C’era la naturale identificazione con un ragazzo che mentre rincorreva il suo sogno, esaudiva il nostro. Doppio sogno, il nostro. Ogni tifoso sogna di essere il capitano della sua squadra, ogni tifoso sogna di avere per capitano un fuoriclasse nato e cresciuto tifoso. Capitani romani e romanisti (anche acquisiti) ne avevamo già avuti. Fuoriclasse, anche. Tutto insieme a un livello così alto, però, mai. Tutto questo cresceva piano piano, soffrivamo e gioivamo con lui e come lui. In contemporanea, però, ad aumentare il carico d’intensità arrivavano anche sollecitazioni esterne. veniva usato per colpire tutti noi e il nostro modo di essere romani e romanisti, come se peraltro ne esistesse solo uno. Lo si disegnava appositamente su per poter colpire meglio il bersaglio grosso, anzi, la gigantesca bambolina vodoo, perché sentivamo sulla nostra pelle ogni colpo che subiva. Litigavo con i tifosi di altre squadre che o ne sminuivano il valore tecnico o erano pronti a sottolineare comportamenti sbagliati. Litigavo con i romanisti che secondo me non lo apprezzavano abbastanza, litigavo con i non tifosi che lo prendevano in giro per il modo di parlare. Gli perdonavo tutto, lo difendevo sempre, anche a costo di negare le evidenze.

Era il mio idolo, non potevano toccarmelo.

La storia dell’umanità però ci dice che gli idoli vengono abbattuti con la stessa facilità e rapidità con la quale vengono divinizzati. Questa però è una storia di uomini. A un certo punto, non saprei dire quando, ho smesso di considerare un idolo. Ho iniziato a vedere i suoi errori, ad arrabbiarmi con lui se lo vedevo comportarsi o parlare in maniera diversa da come avrei preferito facesse, nelle volte in cui ciò accadeva. Solo allora, però, è scattata quell’identificazione che pensavo di aver vissuto già dall’inizio della sua carriera. Vedendolo per ciò che era, una persona e non un’icona.

D’altra parte, da quale pulpito avrei potuto voltargli le spalle, io che peraltro non ho gli occhi alle spalle come ce li ha lui? Vedere anche le cose che non mi piacevano non significava passare da un assoluto all’altro. Ma poi avrei potuto permetterlo? Sì, quando esce arrabbiato perché ha giocato poco o niente dopo una vittoria, dà l’impressione di pensare prima a se stesso che alla squadra. Bè, pure io una volta, quando giocavo a basket, non ho gioito per una vittoria con i miei compagni perché non ero entrato. Sì, a volte ha reagito male alle provocazioni e ha perso il controllo. Personalmente ho fatto di peggio, quando mi è capitato di perdere il controllo. Ho i testimoni. Altre volte ancora non mi è piaciuto, ancora più volte io non sono piaciuto a me stesso. Tutto ciò mentre continuavo a vincere e perdere con lui. E mentre mi capitava di arrabbiarmi con lui per mancanze che poi mi accorgevo erano anche le mie.

Non era più il mio idolo, perché non era perfetto. D’altronde era già “troppo”, per potergli chiedere anche di essere perfetto.

Non era più il mio idolo ed è allora che sento di aver cominciato a volergli bene. Proprio per la sua umanità, anche per come emergeva nelle sue imperfezioni o almeno in quelle che secondo me potevano esserlo. Credo che sia così un po’ per tutti i romanisti. Realizzare i sogni degli altri è una bella responsabilità, ma le persone non sono fatte della stessa sostanza dei sogni degli altri. Ci sono quelli che non hanno gradito qualcosa nell’ultimo anno, quelli che lo avrebbero voluto più “ultras”, quelli che lo avrebbero voluto più “capitano”, quelli che, nelle stesse situazioni, lo hanno accusato o di esporsi troppo o di esporsi troppo poco, e così via.

Alla fine però vince sempre la verità. E la verità è che stiamo parlando di un campione che per 25 anni si è dato completamente, perché 25 anni sono troppi perché qualsiasi filtro o corazza possa reggere. Si è mostrato per quello che è. Ha fatto tutto alla sua maniera e in ciò ne ha tratto soprattutto forza.

Ognuno di noi avrebbe voluto plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Lui ha provato a plasmare i nostri sogni, ma poteva farlo solo a sua immagine e somiglianza.

Riguardatele, sono immagini fantastiche.

è stato tutti noi, o almeno una parte, piccola o grande, di ognuno di noi. È stato il ragazzino che giocava al parco, che andava in curva, che aveva il poster del suo capitano in camera. È stato i nostri pregi e i nostri difetti, le nostre vittorie e le nostre sconfitte, le nostre cose giuste e i nostri errori. È stato uno come noi, il figlio da sostenere e da rimproverare, l’amico cui appoggiarsi e con cui arrabbiarsi e questo è molto più che essere un idolo.

Per questo ultimamente non sono infastidito, come capita – e lo capisco – a tanti romanisti, da tutti quelli che si sono accorti della sua grandezza un po’ tardi. Fate pure. Tanto quello che abbiamo provato noi in questi 25 anni è talmente speciale che, personalmente, mi basta. Non sento il bisogno di rivendicarlo.

E il bello è che oggi che ci sembra la fine, non lo è. Qualsiasi cosa farà , più passerà il tempo e più incontreremo qualcuno che ci chiederà di raccontargli com’era. Iniziate a pensarci, sarà difficile trovare le parole adatte.

Forse la prima cosa che dirò sarà che è uno a cui voglio bene perché non è il mio idolo.

Luca Pelosi