E alla fine arriva il magone. L'ennesimo post su Facebook, il centesimo tributo di un vecchio compagno di squadra, la clip in slow motion con le gesta del 10 accompagnate da adeguato (paraculo) sottofondo sonoro, svariate parole cariche di enfasi per il passato e smarrimento per il futuro. In sintesi, chili e chili di retorica, luoghi comuni, populismo, ridondanza (proprio come questo mio pensiero qui).
Poi l'occhio, il cuore, la testa, la pancia ci ricascano, tutti insieme appassionatamente, ritornano a bomba e vogliono rivedere, risentire, rileggere, riguardare pensieri e parole dedicate a Lui. Come con quella canzone struggente, che non è sicuramente un capolavoro, ma che per te ha un significato preciso, e che proprio non ce la fai a non sentire. Non ti fa bene, ma la senti. Sai che tocca corde doloranti, ma spingi 'play'. La lingua batte dove il dente duole (ah caro mio, non se famo manca' niente).
Fino a ieri non vedevo l'ora che arrivasse lunedì. Una situazione pesante, tirata per le lunghe, che ha reso tutti esausti e tutti responsabili (media compresi, laroma24.it compresa, io compreso). Poi però arriva il 28 maggio e allora tutto prende un'altra piega: il lunedì vorresti non arrivasse mai, inizia a prendere le sembianze dell'incubo (quello sì, non quello millantato da mitomani senza Dio), la paura fottuta di dover(si) ricostruire daccapo tutto. E non conta nulla che tutto questo lo sapevamo da tanto, perché poi quando arriva non sei mai (e poi mai) preparato. Anzi è peggio, perché stai lì e ti dici da solo come uno scemo: ma come? Lo sapevo? Ne ero consapevole? Ma perché ora me prende così male?
Forse perché il viaggio è finito, la corriera è al capolinea, gli amici se ne vanno e tu per un po' devi metterti l'anima in pace: il soffitto della stanza da letto sarà il tuo miglior amico per un po' di tempo.
Grazie per avermi accompagnato
Grazie per avermi portato fino a qua