A Francesco Totti

28/05/2017 alle 01:30.
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Caro Francesco,
Sono diventato tifoso romanista quasi per caso. Quando alle scuole elementari cominciavamo a collezionare le figurine dei calciatori e le schede telefoniche, tutti i miei amici e compagni tifavano per le più blasonate , e Milan. Io ho scelto la Roma perché, a mio modo, volevo essere fuori dagli schemi. E perché sei stato sempre il mio preferito, anche se da bambino non ho sognato di essere un trequartista. È stato un colpo di fulmine.
Una delle emozioni più grandi è stata ricevere la mia prima maglia della Roma, quella con la lupa sulle maniche. Dietro non c’era il mio nome o il giorno in cui sono nato, ma 10.
Della tua carriera, che dura praticamente da quando sono nato, ho impresse le immagini più belle. A Rotterdam, nel 2000, con il cucchiaio a Van der Sar. A giugno del 2001 ascoltavo la radio al mare per l’ultima del campionato-scudetto. Sono saltato dal divano per il pallonetto a San Siro contro l’
, il mio preferito. Contro l’Australia dopo 95 minuti, invece, non ce l’ho fatta dalla tensione e sono andato a vedere il rigore, da solo, nella mia stanza, lontano da tutti. Al gol al volo contro la Samp indossavo ancora quella maglia durante le partite. E poi Milano, Torino, Bari, Parma, Udine, Palermo. E
, Mosca, Londra, Manchester e Monaco di Baviera.
In mezzo ai tuoi gol e alle giocate da fuoriclasse ci sono anche i miei sorrisi.
A Torino, nel settembre scorso, ti ho visto scaldare dalla tribuna e sentire gli applausi di tutto lo stadio al tuo ingresso in campo. Ho avuto la possibilità di vederti giocare e segnare per l’ultima volta, su rigore, di quelli che il
quasi intuisce e non riesce mai a prendere.
Mi sarebbe piaciuto avessi vinto molto di più, e mi sembra normale: ho avuto, però, la fortuna che il primo tifoso della mia squadra del cuore fosse proprio il suo capitano.
Ti ho anche criticato, per lo sputo a Poulsen, il calcio a Balotelli e lo schiaffo a Ciccio Colonnese, perché un tifoso è anche questo. E perché so che magari non lo hai fatto con cattiveria, ma un capitano deve sempre dare l’esempio. Poi i paragoni con Del Piero e Baggio hanno sempre lasciano il tempo che trovavano, perché il mondo del calcio si divide fra i giocatori normali e quelli che stanno nell’Olimpo. Tu, insieme a loro, sei sempre stato in buona compagnia.
Vorrei dirti, Francesco, che a volte ti ho anche immaginato vicino: sarà stata l’umiltà che hai, e la semplicità dei tuoi atteggiamenti. Sei stato e sei ancora un leader silenzioso, di quelli che non parlano mai ma hanno già detto tutto. Un re che si è seduto in mezzo al popolo.
Sulla partita di domani non voglio dire niente, ma penso che dovrebbe quantomeno durare una settimana intera per raccogliere tutti gli applausi che meriti. Non voglio parlarne perché non credo negli addii e perché, in fondo, tutto quello che amiamo non ci lascia mai, e lo vediamo e troviamo nelle piccole cose che la vita ci offre ogni giorno.
E allora scatta, tocca il pallone con l’eleganza che conosci. Manda in porta un compagno o disegna una traiettoria delle tue. Col tacco, con la punta o col cucchiaio. E poi fai venire giù lo stadio, che vive per urlare il tuo nome.
non finisce con l’ultimo saluto all’Olimpico, ma continua nei ragazzini che sognano di essere lui nelle strade impolverate con le porte fatte di legno. Proseguirà poi nella storia del calcio perché le bandiere trovano sempre un filo di vento che le faccia sventolare.
Per quello che farai in futuro, ti auguro tutto il bene possibile. Per tutto quello che mi hai dato in questi anni, infinitamente Grazie.

Alberto Gervasi