LA REPUBBLICA (M. PINCI / E. SISTI) - Senza di lui era precipitata, senza di lui è rinata. Forse la cosa che più ferisce il n. 10 della Roma, quel Peter Pan che con Garcia si era rassegnato a trasformarsi in Peter Panc, poco campo tanta panchina, è proprio questa: essere diventato di colpo ininfluente, l’occupante di uno degli armadietti del “vestuario”. Una volta per spaventare il Madrid serviva il miglior Totti. Quando la Roma vinse al Bernabeu nel 2008, il problema della vigilia era: c’è Totti ma non sta bene! Oggi vale 4 minuti per non servire a niente alla fine di una partita già persa. Ci sta che il n. 10 che Modric chiama «il mio idolo» e che Ronaldo definisce «impressionante!», si senta superfluo: «Intervistarmi? Ma che ce fai con me!».
Il suo “spleen”, dopo mesi silenti, nasconde la verità: per la prima volta la Roma non s’è dovuta aggrappare a Totti, al suo charme, ai suoi gol, alla sua grandezza, per riemergere dalle sabbie mobili. Il che vuol dire che siamo di fatto entrati nell’era del dopo-Totti. Lui è ancora lì, triste solitario y final, ma in realtà è già da rimpiangere, perché ha quasi 40 anni, perché è passato. Anzi è tanto passato, pochissimo presente e invisibile futuro. Forse il capitano sognava un tramonto da leggenda, di quelli col raggio verde prima della caduta del sole. Non sembra così purtroppo. In due mesi, senza Totti, la Roma è fluita dal ko ai rigori con lo Spezia agli applausi con il Madrid. A prescindere dagli episodi che avrebbero potuto rovesciare la serata contro Zidane, la squadra non è ancora quella auspicata da Spalletti. C’è ancora da camminare, da allenare, da lavorare. Ma qualcosa è già stato fatto: nel primo tempo i blancos hanno tirato in porta una volta soltanto e in Champions non capitava addirittura dalla semifinale del maggio 2011 contro il Barça. La Roma come il Barcellona: qualcosa potrebbe significare.
I giallorossi non segnano come nei primi sei mesi di stagione. In compenso subiscono meno. Un gol a partita contro il gol e mezzo della gestione Garcia. La Roma s’è reinventata trovando un’identità nelle variazioni, nel flusso dei suoi nuovi “universali”. Puntando allo stile Spalletti ha trovato il carattere. Cerca i punti, ma soprattutto cerca la squadra delle «prestazioni» e della dignità permanente. Il camaleonte Luciano ha alternato 7 formazioni diverse in altrettante gare, modulando schemi dall’antico 4-2-3-1 al rivoluzionario 3-4-2-1, passando per 4-3-3 e 4-1-4-1. E in nessuna formazione c’è Totti. Al quale restano passerelle fugaci, dolorose: i 4 minuti contro il Real equivalgono, per qualche radio, «a un’offesa». In realtà era lui a rimandare più volte l’ingresso in campo, con la scusa di scaldarsi meglio per evitare ricadute, mentre Domenichini gli urlava: «Spicciati!».
Cosa resta del suo legame con la Roma? Il club lo vorrebbe già dirigente, lui si sente ancora atleta. Solo a marzo Pallotta tornerà a Roma per decidere se assecondare l’inesauribile sua voglia di campo e ritardare di qualche luna le sue lacrime, per quello scarpino attaccato al chiodo. Avrebbe voluto chiudere con lo scudetto, Totti. E se adesso chiudesse per quei 4 minuti senza raggio verde?