PANORAMA.IT (G. CAPUANO) - I fatti prima di tutto. In questo campionato la Roma ha un saldo certamente non negativo con la sorte e con i direttori di gara. C'è stata la notte di Torino e la battaglia mediatica sulle decisioni di Rocchi, peraltro non tutte così a senso unico, regolamento alla mano, come nella Capitale hanno disegnato. Poi, però, sono arrivati gli aiutini della sfida con il Sassuolo, il rigorino negato all'Inter (magari ininfluente, ma c'era), la difficile partita di Marassi con Banti non impeccabile e, infine, il pomeriggio di Udine. Quello in cui, per capirci, non è tanto in discussione se il colpo di testa di Astori sia entrato o no, quanto piuttosto l'assoluta discrezionalità di un arbitro che prima ha sconfessato il suo assistente, pur avendo la visuale completamente coperta su un episodio millimetrico, infine si è affidato allo stesso (sbagliando) quando aveva tutti i parametri per giudicare e dare rigore ai friulani.
Siamo sinceri. Fosse avvenuto a parti invertite, oppure a favore della Juventus in una qualsiasi delle altre 36 giornate di campionato, ci troveremmo a misurarci con interrogazioni parlamentari e cori sguaiati di proteste e polemiche. Invece a Udine abbiamo assistito a una scena diversa e per certi versi sorprendente. Garcia Rudi da Nemours, tecnico della Roma appena beneficiata di tanta grazia, ha scelto di percorrere la strada delle certezze e del sarcasmo piuttosto che mostrare il volto più ragionevole di chi, nel dubbio, è consapevole di averla scampata bella. Lui, che aveva aperto il 2015 tornando a suonare il disco dell'indignazione per i fatti di Torino ("Forse non riuscirò a dimenticare per tutta la stagione o per tutta la vita. Non ho un rammarico per i tre gol irregolari; è il sentimento di ingiustizia che è difficile da cancellare", 3 gennaio).
Udinese-Roma, il gol fantasma di Astori e la domenica in cui morirono i giudici di porta
Lo stesso Garcia più volte impegnato a spiegare il primato degli altri sempre partendo dalla questione arbitrale e mai aggiungendo altri elementi ("In Europa solo Real Madrid, Chelsea e Bayern hanno fatto meglio di noi. In Italia la Juve ha tre punti in più e sappiamo tutti come li ha ottenuti", 29 novembre). Oppure quello ecumenico del giorno dopo: "A mente fredda questa è una partita che fa veramente male al calcio italiano" (6 ottobre). Strategia legittima, certamente non un'invenzione del francese e che ha dato i suoi frutti considerato cosa è accaduto nell'ultimo mese. Dunque nessuna morale. Però c'è un limite a tutto e anche un calcio scassato come il nostro non può accettare che un allenatore venuto da fuori a comportarsi come e magari peggio di noi ci faccia la morale.
La scenetta di Garcia che, in diretta tv, ha preso a scudisciate gli inermi giornalisti, impegnati - senza troppa enfasi - ad analizzare gli episodi di Udine è da bollino rosso. "Lei mi fa sorridere, che dice che non vuole fare polemiche e parla solo di episodi arbitrali" ha detto a chi gli mostrava l'intervento scomposto di Emanuelson su Kone. Appunto. Se sorride lui, figurarsi tutti gli altri dopo tre mesi di sermoni e moviole fuori tempo massimo, mind games e tentativi di mettere pressione ad arbitri e avversari. A Udine Garcia è uscito fuori strada. Il rischio è una crisi di rigetto, che non farebbe certamente il bene della Roma. Alla gara scudetto del 2 marzo mancano poco meno di due mesi. Ad oggi va detto con franchezza che la Roma non è stata certo meno favorita della Juventus. Anzi. Ogni tentativo di intossicare oltre questa lunghissima vigilia va repinto al mittente, cominciando a riconoscerne paternità e origine, senza far finta che sia sempre e solo colpa di giornali e bar sport.