D'Ambrosio e la corsa fermata dalla malattia: "Rischiai l'amputazione"

27/12/2017 alle 17:45.
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Danilo D'Ambrosio, consulente del lavoro e a tempo perso terzino dello Sporting Genzano. Classe '88, con un passato di dieci anni a Trigoria, prima di una breve avventura a Grosseto, ha rilasciato un'intervista al quotidiano in cui ha raccontato dell'infortunio che ha condizionato la sua carriera e del suo passato in giallorosso. Queste alcune delle sue parole:

 I primi anni alla Roma?
«Giocavo col San Lorenzo. Dopo una partita contro la Lodigiani, Bruno Conti mi chiamò per un provino. C'erano quasi 200 bambini dell'88, sapevamo che ne avrebbero presi solamente otto. Io, Pace, Suppa, Ferri, Ciasca Lorini... andammo sotto età con gli ‘87, c'erano Cerci, Marsili, Giacomini, Freddi. Sono stato a Trigoria 10 anni, dai 9 ai 19».

E poi la Primavera.
«Il primo anno non giocavo, è normale, ma è stato sempre corretto con me. Ha i suoi difetti, è molto permaloso, ma molto preparato. Ed è una bella persona, lì dentro si contraddistingue: c'entra poco e niente con quel mondo. E infatti spesso non si trova bene».

E poi?
«Bruno Conti e Stefanelli volevano mandarmi all'Olbia, in C1. Ci andai a parlare. Mi avevano offerto 70.000 euro, ma non mi interessava dei soldi, preferivo giocare in una categoria superiore. A fine agosto andai in prestito al Grosseto. Avrei guadagnato 40.000 euro ma sarei stato in serie B. Mi giocavo il posto con Virga, altro ex Roma. L'allenatore era Stefano Pioli».

Prospettive interessanti.
«Già. Ma dopo 2 mesi mi sono infortunato in allenamento, uno scontro con Garofalo. Andai a fare la radiografia perché non riuscivo a poggiare il piede. Mi tennero più di un'ora in sala d'attesa, ancora in tenuta da gioco, non capivo perché. Quando entrai il dottore mi fece vedere la lastra, c'era una massa nera cerchiata. ‘Riesci a capire cos'è?' ‘Ma che ho, un tumore?' Sì, ma mi rassicurarono: avevano già mandato tutto al centro tumorale specialistico di Firenze, era benigno. Per quello che mi avevano fatto aspettare. Probabilmente l'avevo da 2 anni: è asintomatico. Nella sfortuna sono stato fortunato perché avrei rischiato di farlo scoppiare senza conoscerne l'esistenza».

Ti hanno operato?
«Dopo 6 mesi, con una tecnica nuova. Entravano con due chiodi, sopra i quali c'erano dei tappetti, iniettavano una sostanza che si chiama Norian, che si attacca alle pareti del tumore, così da non permettergli di espandersi. Ha una doppia funzionalità: tenerlo bloccato e non farlo scoppiare. Fosse scoppiato, sarebbe saltata la corticale, cioè l'osso madre del piede, quello che collega tutti i tendini. Le alternative sarebbero state farmi ricostruire il piede - operazione difficilissima - o farmelo amputare. Con questa operazione non può più scoppiare, è come un palloncino riempito con un sasso fatto su misura. Tutti gli anni devo fare il controllo. Ho dovuto aspettare 6 mesi perché nel mondo era stata operata solo una persona con questo metodo, in Belgio. Hanno aspettato una seconda operazione: sono andati ad assistere per replicarla su di me. Potrei essere stato il terzo al mondo, di sicuro tra i primi cinque».

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Hai smesso?
«Quasi. Decisi di giocare vicino casa, più per divertimento che per altro, alla Lupa Roma. E vincemmo il campionato, in Eccellenza. Sarei dovuto andare in D, ma mi capitò un problema personale molto grave. Non avevo più la testa, sono sceso direttamente in Promozione, con il Futbolclub, a Tor di Quinto. Ero entrato nell'ottica di dover iniziare una vita nuova. Non volevo più prendere il calcio come un impegno ma solo come un divertimento, uno sfogo dopo una giornata di lavoro. Da lì me ne andai al Città di Ciampino, a Marino e poi alla Valle del Tevere. Dove è successa una cosa molto strana».

Cosa?
«All'improvviso mi era tornata la voglia di togliermi qualche soddisfazione sul campo. Mi sono messo a dieta, in un mese ho perso 7 chili, ho spinto al massimo. Ho fatto 32 assist in un anno, abbiamo vinto il campionato e siamo saliti in Eccellenza. A centrocampo c'è un gambiano, Tamsir Jammeh, che per me può giocare in A. L'anno dopo abbiamo fatto gli spareggi per la D a Budoni, in Sardegna e abbiamo perso, 1-0. Se guardi gli highlights su YouTube conta le occasioni che abbiamo creato: saranno state una quindicina, prendendo gol al primo tiro. Sai cosa è successo, dopo quella gara?»

Che ti è passata la voglia.
«Esatto. Se avessimo vinto sarei rimasto anche in serie D. Mi sono reso conto che volevo vivere di nuovo una giornata da calciatore vero. Andare in trasferta con l'aereo, trovare 3000 persone allo stadio, un po' di insulti, un po' di adrenalina. Vissuta quella giornata, mi sono scese le motivazioni. Ora gioco in Promozione con lo Sporting Genzano. A inizio anno l'allenatore era Marco Pedini, che avevo avuto negli Allievi della Roma. Va bene così».

E ti sei messo a lavorare.
«Mio padre - che dovrò sempre ringraziare perché non ha mai voluto mettere bocca nelle mie scelte calcistiche, al contrario di quelli di tanti compagni - ha un banco al mercato, vende borse, cinque paesi diversi a settimana. Per un certo periodo gli ho dato un mano: sveglia alle 4, lavoro durissimo. Alle 14 sei a casa, ma sono durato poco».

E ora che lavoro fai?
«Sono consulente commerciale per un'agenzia del lavoro che a oggi gestisce 9.000 dipendenti. Abbiamo 16 filiali in tutta Italia, aiutiamo più di 3.000 aziende nella ricerca di personale. Lo faccio da due anni, è un bel lavoro. Sempre in giro ma si guadagna bene, non posso lamentarmi. Sono soldi sicuri, ogni 10 del mese arriva lo stipendio. Nel mondo del calcio, dalla Lega Pro in giù, non sai mai se avrai il pattuito».

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(Il Romanista - C. Rocca)