IL GIORNALE (D. LATAGLIATA) - I gufi vanno smentiti. Perché, per dirla con Andrea Agnelli, «è già stato ricordato che la Roma allo Stadium ha sempre perso». Sottinteso: sarebbe ora che non lo facesse più. «Noi siamo nati per vincere. Il trionfo più importante non è quello che abbiamo conseguito, ma il prossimo». Parole ribadite alla cena di Natale, parole che fanno parte del modo di pensare e di vivere il calcio in casa Juventus. È sempre stato così e così sarà per sempre. Facendolo capire (possibilmente in fretta) a chiunque vesta il bianconero. Non a caso, anche se non potrebbero dire altrimenti, tutti i nuovi giocatori non perdono occasione per ripetere che «qui ho capito cosa significhi lavorare per vincere». Anche Pjanic, certo. Ex giallorosso che in questi giorni ha tenuto la bocca cucita, ma che già a metà luglio si era sbilanciato «perché, adesso che sono arrivato a Torino, ho capito il motivo per cui è sempre difficile piazzarsi davanti alla Juve. Si lavora tanto: sicuramente c’è differenza tra dove sono stato in passato e dove sono oggi». Magari Spalletti e chi lo aveva preceduto non avrà apprezzato fino in fondo, però questo è quanto. E il bosniaco, pur senza avere fatto sfracelli, ha comunque strada facendo confermato di avere compreso la lezione mettendo insieme numeri più che discreti (sei gol e sette assist): testa bassa e pedalare, zero polemiche e totale disponibilità per il bene comune. Mantenendo il massimo rispetto per la sua esperienza romana, ma pure sposando in toto la sua nuova causa. Il che non significa avere tagliato i ponti con tutti, anzi: «Con i miei ex compagni ci sentiamo ancora e mi hanno anche fatto i complimenti per qualche mio gol», ha raccontato il bosniaco in un’altra occasione. Insomma: il lavoro è lavoro, ma l’amicizia e il rispetto rimangono pur se la scorsa estate in ritiro Strootman si espresse con un «Pjanic chi?» quando venne interpellato circa la partenza del suo ormai ex compagno di reparto.
Addirittura, a fine settembre l’attuale numero 5 bianconero, di ritorno da Palermo dove aveva giocato la sera prima, si era recato nell’albergo che ospitava la Roma (in attesa di affrontare il Toro) per salutare i suoi ex compagni di viaggio. Occasione tra le altre – quella – per riabbracciare anche “l’amico nemico” Radja Nainggolan. Uno che la Juve ha pure inseguito (vanamente) a più riprese, fin dai tempi in cui giocava nel Cagliari. Ma anche uno che nel corso degli anni ha maturato un’antijuventinità poi per nulla nascosta. «Io lì non andrei mai a giocare, questo è poco ma sicuro. L’ho già detto tantissime volte e lo ribadisco: meglio vincere uno scudetto a Roma che dieci con la Juve. Non voglio fare polemiche, ma è come quando non ti piace una ragazza che tutti inseguono. Punto e basta». Dichiarazioni a volte anche dure e seguite pure da polemiche via social con i tifosi della Signora. Poi, ovviamente, le acque si sono calmate e il belga non si è più fatto coinvolgere in provocazioni inutili per non dire dannose. Quanto al suo rapporto con Pjanic, vale la pena descriverlo con l’aggettivo “fraterno”: «Per me è come un fratello e gli auguro il meglio, accetto la sua scelta. Gli voglio bene e continuerò a volergliene ». Applausi convinti, ecco. Cui segue una sorta di sberleffo, anche: «Gli ho comunque detto che non mi deve più rivolgere la parola». Domani è peraltro ampiamente probabile che i due si incroceranno più volte: lo juventino agirà da trequartista alle spalle di Higuain e (probabilmente) Dybala, il giallorosso svolgerà lo stesso ruolo ma aiutando la Roma anche in fase di non possesso. Nessuno tirerà indietro il piede: giusto così.