IL FATTO QUOTIDIANO (L. PISAPIA) - Prima del rigore di martedì contro il Real Madrid, Carlitos Tevez ha segnato un altro gol fondamentale: il 13 maggio 2007 insacca la rete decisiva con cui il West Ham batte il Manchester United e ottiene la salvezza all’ultima giornata. A luglio, Tevez passa al Manchester per 30 milioni. Ma a nessuno importa più di quel gol. O meglio, c’è ben altro che emerge. Lo United infatti non può pagare il West Ham, perché proprietaria del cartellino di Tevez è la Media Sports Investments dell’iraniano Kia Joorabchian, che in buona sostanza ha prestato il giocatore al club londinese.
Cominciano indagini e processi, sia sportivi sia ordinari. Il calcio che si sta apprestando ad abbandonare il vecchio sistema industriale capitalistico e a entrare nel neoliberismo finanziario, non è preparato ai giocatori il cui cartellino non è di proprietà di una squadra di calcio ma di strutture esterne: quelle che sono chiamate Tpo (third-party ownership). Mancano regolamenti specifici. Otto anni dopo, mentre il calcio è ancora al punto di partenza, le Tpo si sono evolute, e da semplici società con sede nei paradisi fiscali messe in piedi da procuratori, sono diventati potentissimi fondi d’investimento capaci di condizionare il mercato – e quindi l’esistenza stessa – di interi club di primo livello. Negli anni in cui Tevez segna con il West Ham, un altro procuratore sale alla ribalta: è il portoghese Jorge Mendes. Otto anni dopo, Mendes è ancora protagonista assoluto, avendo gestito i trasferimenti di Falcao, Di Maria, Costa, Mangala e altri per un giro d’affari intorno ai 3 miliardi l’anno. Ma non solo. Proprio leggendo le clausole del contratto di Mangala, difensore passato dal Porto al Manchester City per 40 milioni, si scopre che un terzo del cartellino è proprietà di un fondo d’investimento con sede a Malta: il Doyen Group. Attraverso la sua società Gestifute, Mendes era fino a poco tempo fa socio proprio di Doyen, il cui referente pubblico è invece Nelio Lucas, buon amico di Adriano Galliani.
Le ramificazioni non finiscono qui. Doyen controlla in modo abbastanza palese i movimenti di mercato delle tre grandi portoghesi (Porto, Sporting e Benfica) e delle spagnole, in particolare Deportivo, Getafe, Elche, oltre a Siviglia e Atletico Madrid che ha anche sponsorizzato. E a gennaio ecco il curioso balletto di prestiti di giocatori che coinvolge Atletico, Milan, Chelsea e Torino. In estate Cerci passa dal Torino all’Atletico, in cambio del carneade Ruben Perez, il cui cartellino è di Doyen. A gennaio, mentre Perez è dirottato al Granada della famiglia Pozzo, avviene lo scambio tra il prestito di Cerci al Milan e quello di Torres – che a sua volta è in prestito dal Chelsea di Mourinho, allenatore della scuderia Mendez – all’Atletico. Perfetto esempio di transazione finanziaria, lo scambio muove cifre altissime senza che materialmente un solo euro debba essere trasferito: la sublimazione di quelle che una volta erano le vecchie plusvalenze con scambi ipervalutati dei Primavera di Milan e Inter.
Questo, forse, è stato l’ultimo affare così evidente. Dal 1° maggio, infatti, la Fifa ha dichiarato illegali le Tpo sui cartellini. Ma nulla può sui diritti d’immagi ne, che è consuetudine gestire separatamente, né, e questo è il futuro, sulla proprietà dei club. Oggi infatti molte società di calcio appartengono non più a industriali locali, i vecchi “ricchi scemi” che poi erano tutt’altro che scemi, ma a società e fondi d’investimento, la cui sede nei paradisi fiscali rende impossibile conoscere la struttura e le partecipazioni. Ed ecco che il nome di Nelio Lucas, il gestore del fondo d’investimento Doyen, appare a più riprese tra i finanziatori della cordata che il broker thailandese Bee Taechaubol avrebbe messo insieme per prendere il Milan. Tutto torna. E il fatto che dopo Tevez, a segnare con la maglia della Juve contro il Real Madrid sia stato Alvaro Morata, la cui procura è gestita da Doyen, non chiude il cerchio. Apre invece al futuro.