CORSERA (L. VALDISERRI) - Più che senza curva, nel pomeriggio che doveva riportarla al secondo posto, la Roma si è trovata senza squadra e senza guida. La partita contro l’Atalanta entra di diritto tra le peggiori della stagione, forse la peggiore. Ci sono le tre sconfitte e lo 0-0 con il Parma in via di fallimento, è vero, ma la gara di ieri pomeriggio ha mostrato alcune caratteristiche davvero diaboliche:
1) la Roma era passata in vantaggio dopo 3’, con un rigore realizzato da Totti per fallo di mano di Stendardo su azione di Ljajic: non poteva esserci inizio migliore, soprattutto contro una squadra che era venuta all’Olimpico per difendersi a oltranza;
2) l’Atalanta ha giocato una partita normalissima, accontentandosi di un pareggio che, con un po’ di coraggio in più, avrebbe anche potuto trasformare in vittoria: è sembrato che Reja si accontentasse di un punto, per altro prezioso e da mostrare agli amici laziali, anziché cercarne tre;
3) il giro di tutti gli attaccanti a disposizione, con il povero Doumbia nei minuti finali a fare tenerezza, ha inchiodato il d.s. Sabatini alle sue responsabilità: non c ’è lo straccio di un centravanti in rosa e Destro, anche se aveva deluso in molte occasioni, è stato prestato al Milan per 500 mila euro, un terzo del costo del desaparecido stopper Spolli;
4) l’assenza di Gervinho dimostra che il gioco di Garcia non ha un piano B.
Sul resto si può discutere. A Roma, per esempio, in tanti pensano che Pjanic sia un problema di questa squadra. Però quando manca il bosniaco, ieri fuori per un problema alla caviglia, il gioco cala a livelli ancora inferiori. I numeri sono impietosi: è il decimo pareggio nelle ultime 14 giornate (tre vittorie, una sconfitta); l’attacco non segna più di un gol da nove gare di campionato; la Lazio resta seconda per miglior differenza reti e il Napoli si è avvicinato a meno 5.
Le parole di Garcia lo sono state altrettanto: «Posso soltanto essere arrabbiato. Ho visto una Roma che non ha giocato bene, soprattutto nel primo tempo. Dopo il rigore ci siamo addormentati. Almeno nel secondo tempo, con Ibarbo e Keita, abbiamo rivisto un po’ di gioco, ma non abbastanza voglia per riprendersi il secondo posto. Preferisco tenermi le mie parole per i miei giocatori. Non è il momento di fare bilanci, si faranno a fine stagione. Non sono deluso, sono arrabbiato, è differente».
Un atto di accusa duro, accompagnato dalla revoca del giorno libero. Viene da chiedersi, però, quale dovrebbe essere il valore aggiunto dell’allenatore, che nel campionato scorso aveva risollevato la Roma dall’incubo della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio. È vero che ieri erano in campo solo quattro giocatori che c’erano anche l’anno scorso. È vero che gli assenti sono sempre tanti (ieri: Castan, Maicon, Strootman, De Rossi, Pjanic, Gervinho). È vero che il mercato è stato clamorosamente falsato dal flop di Iturbe, ormai sceso a livelli amatoriali, e che a gennaio la squadra è stata indebolita anziché rafforzata. Però questo non basta per giustificare il non gioco di ieri.
La parola «voglia» vuole dire tutto o niente e, almeno per chi scrive, l’allenatore che non vi deve mai ricorrere è sempre il più bravo. L’Atalanta può festeggiare una salvezza ormai sicura. Il bel calcio è un’altra cosa, ma la stagione aveva preso una china pericolosa e Reja ha dato quello che è nelle sue corde: qualche risultato. La Roma deve ancora chiedere tutto al campionato, ma se sarà quella di ieri rischia di arrivare non terza, ma addirittura quarta. La Lazio gioca bene e il Napoli è tornato brillante. Servono idee, non la parola «voglia».