IL TEMPO (A. AUSTINI) - Doveva essere la partita della grande speranza, è diventata quella della paura. Lunedì, al fischio d’inizio di Roma-Juventus, i giallorossi potrebbero ritrovarsi al terzo posto in classifica: dopo il successo di ieri sera col Sassuolo, il Napoli domenica può tentare l’aggancio vincendo nella Torino granata. A quel punto sarebbe seconda, almeno momentaneamente, in virtù del primo scontro diretto vinto al San Paolo. Come cambiare il senso della stagione in poco più di un mese: l’11 gennaio scorso la squadra di Garcia affrontava il derby a -1 dalla vetta e con la concreta possibilità di tentare il sorpasso, ora, con 8 pareggi nelle ultime 11 gare, si ritrova a guardarsi indietro. Con tanto timore. Perdere il secondo posto sarebbe un fallimento sportivo, viste le aspettative create in partenza, e un bel guaio in ottica della programmazione del futuro: la sicurezza della Champions vale una quarantina di milioni, senza quelli il ridimensionamento diventerebbe obbligato.
Ma la settimana di «passione» romanista inizia a Rotterdam, in Europa League, dove Totti e soci sono chiamati a difendere l’ultima possibilità di riaprire quest’anno la bacheca impolverata. Sì, perché pensare allo scudetto, come dice Sabatini, ora suona come una presa in giro. Salutata la Coppa Italia senza onore, all’Europa League la società ci tiene eccome: per il prestigio, la visibilità, il ranking Uefa e qualche incasso in più che non guasta mai. Garcia allora dovrà schierare i migliori, senza preoccuparsi troppo della Juventus visto che la squadra partirà anche in svantaggio dopo l’1-1 dell’andata. È in grado la Roma degli ultimi mesi di fare risultato in casa del pur modesto Feyenoord? Difficile trovare spunti d’ottimismo, eppure dentro Trigoria sono convinti che al gruppo basti una scintilla per ritrovarsi e ripartire. C’è un certo scollamento tra il disfattismo dell’ambiente e l’idea che si sono fatti i dirigenti e Garcia di questa crisi. Dentro la Roma continuano tutti a credere nel valore della squadra, attribuendo ai troppi infortuni i motivi della flessione in classifica. D’altronde i numeri, almeno quelli, non mentono mai: sono 9 i punti in meno rispetto allo scorso anno dopo 24 partite, lo stesso distacco dalla Juve capolista. E solo perché il Napoli ha a sua volta frenato (aveva 50 punti contro i 45 di oggi) il secondo posto è ancora salvo.
Ma la Roma della passata stagione non c’è più, ormai è evidente. Non c’è nei suoi leader - Benatia, Castan, Maicon e Strootman - è assente nel gioco, penalizzata dai continui cambi di formazione, e tranne rarissimi casi non ha avuto la spinta che serviva dai nuovi acquisti. Che sia l’Iturbe infortunato tre volte, l’Astori terrorizzato dall’Olimpico, il Cole ormai al tramonto o il Doumbia sbarcato a Trigoria dopo oltre due mesi di prolungata inattività. Se a tutti questi guai si aggiunge la sparizione di Gervinho - è come se non fosse ancora tornato dalla Coppa d’Africa - non c’è da stupirsi se la seconda Roma di Garcia sia ormai una copia molto sbiadita della prima. L’allenatore non perde fiducia e ieri ha evitato «sermoni» nello spogliatoio: il discorso post-Verona è stato breve, la squadra è scesa in campo per l’allenamento in fretta perché la testa va subito proiettata all’impegno di Europa League a cui tengono molto anche i giocatori. Se c’è qualcosa a cui dirigenti e tecnico si appigliano è proprio l’unione intatta del gruppo. Il problema è che meglio di così, al momento, non riesce proprio a fare. Per certi versi, è ancora più grave