CORSERA (L. VALDISERRI) - Un anno fa, alla 24esima giornata, la Roma aveva 9 punti di distacco dalla Juve, come adesso. C’erano tre differenze: 1) doveva recuperare la partita casalinga contro il Parma, per cui era a un teorico meno 6; 2) giocava meglio; 3) i tifosi vivevano quel secondo posto – perché la Roma è seconda anche in questo campionato, non ai margini della zona Europa League come Inter e Milan – con un sentimento diverso. Gli esteti del calcio che preferiscono giocare bene e perdere sono molto pochi. Perché allora allenatore, dirigenti e giocatori sono nel mirino? Le differenze maggiori rispetto a un anno fa sono il punto di partenza e le aspettative. La Roma usciva dallo choc della Coppa Italia perduta in finale contro la Lazio, il 16 maggio 2013, e Garcia costruì sulle macerie. Quest’anno, anche se il risultato finale era stato un secondo posto a 17 punti di distacco, si parlava apertamente di scudetto. E ora tutto questo viene rinfacciato da (una parte di) tifosi che sentono tradita la promessa. Si può percorrere una vecchia via sempre valida, quella dei «faccia a faccia» in cui l’allenatore mette al muro la squadra renitente, la squadra sconfessa l’allenatore, il giocatore sostituito trama vendetta e una sana contestazione a base di pesce marcio fa sempre bene. Chi scrive, pur capendone il fascino, non è interessato.
Si può, invece, dividere la ricerca dei problemi in tre macro-settori: 1) la forza della squadra; 2) la preparazione atletica; 3) il lavoro della squadra «invisibile», cioè i dirigenti. Numericamente la squadra è più completa, ma è calata sia la forza dei singoli che quella dell’insieme. Le scommesse sono state quasi tutte perdute. Il solo Ljajic ha migliorato il suo rendimento. De Sanctis ha un anno e un’operazione al gomito in più e Skorupski non dà sicurezza; Maicon non si sa neppure se tornerà a giocare; Manolas & Co. hanno problemi gravi a impostare il gioco mentre Benatia e Castan ne facevano il punto di forza; Cholevas o Cole non valgono il Balzaretti delle prime dieci partite; Pjanic è perduto nella confusione tattica e nella tendinite; né De Rossi né Keita hanno brillantezza; Strootman vedi Maicon; Totti viaggia verso i 39; Destro è stato sostituito, nell’immediato, con il fantasma di Doumbia; Gervinho è fermo a 2 gol e sembra aver esaurito in Coppa d’Africa la sua spinta; Iturbe è stato strapagato e si è infortunato appena stava trovando un rendimento importante. Letto così il secondo posto è un miracolo.
La preparazione atletica è sotto accusa e il numero alto di infortuni muscolari è sotto gli occhi di tutti. Si è dato il sergente di Full Metal Jacket a un gruppo che, in molti casi, aveva bisogno della piscina di Cocoon? Forse. Gli infortuni più gravi – Castan, Strootman, il secondo di Iturbe – sono comunque stati medici o traumatici e non muscolari. Il direttore sportivo Walter Sabatini si è assunto la responsabilità del grave ritardo del mercato di riparazione e questo va a suo onore. Al di là delle dichiarazioni di facciata, però, la sua visione del calcio e quella di Rudi Garcia hanno coinciso abbastanza lo scorso anno e poco in questo. Nei prossimi sette giorni, tra Feyenoord a Rotterdam giovedì sera e Juventus all’Olimpico lunedì prossimo, la Roma si gioca il futuro. Spetta a Garcia decidere come. La parte sportiva è ancora nelle sue mani.