GASPORT (C. ZUCCHELLI) - In attesa di festeggiare le 100 presenze in Serie A, tra due partite, Miralem Pjanic è costretto a fare gli straordinari. Proprio lui, che spesso negli anni passati aveva problemi di continuità per via dei suoi muscoli così fragili, soprattutto negli anni in cui lo sviluppo doveva ancora essere completato, adesso deve, insieme a Nainggolan, far fronte all’emergenza a centrocampo della Roma che sabato non avrà né Keita né, a meno di miracoli, De Rossi. Ci sarà Paredes, all’esordio da titolare, e poi per fare la differenza serviranno ancora la classe di Miralem e i polmoni di Radja, che non più tardi di tre giorni fa si sono sfidati in una partita di qualificazione all’Europeo. Nainggolan ha condiviso su Twitter la foto in cui si abbracciano al fischio finale, Pjanic invece ha scelto la via del silenzio sui social network ma ha fatto sentire lo stesso, forte e chiara, la sua voce.
CONTINUITA’ - In un’intervista al sito «Ultimouomo», il bosniaco si è raccontato in tutto e per tutto, partendo dalla sua infanzia in Lussemburgo per scappare dalla guerra («non volevano darci i documenti, mia madre si mise a piangere e io, che ero in braccio a lei, feci lo stesso») e arrivando all’età dell’oro, quella che sta vivendo da un paio di stagioni nella Roma di Garcia. Che lo ha messo al centro della sua squadra fin dalle prime settimane di lavoro e ha saputo valorizzarne il talento fin dall’inizio, chiedendo alla società di sacrificare Lamela e non lui.
INTOCCABILE - I numeri certificano la scelta di Garcia: 657’ nelle prime otto partite — tutte di campionato — della scorsa stagione, 624’ in sei gare di Serie A e due di Champions adesso, tutti in un ruolo, quello di interno destro, che Pjanic vede tagliato su misura per lui: «Il mio posto è dove gioco adesso, la mezzala in un 4-3-3. In un centrocampo dove gestiamo la partita, dove abbiamo sempre il possesso, senza paura di tenere la palla. Questo è il mio gioco. E sono in squadra con calciatori straordinari che capiscono davvero molto di calcio».
RUDI SI’ - Così come Rudi Garcia, per il quale Pjanic spende parole al miele: «Sappiamo come vuole che giochiamo. Siamo molto più forti tatticamente, equilibrati. Conosciamo i compiti di tutti, e se uno non è al suo posto c’è qualcun altro che lo copre, ci battiamo l’uno per l’altro, diamo una mano a quello che magari è meno in forma. È tutta la squadra che fa la differenza, e questo è lo spirito che il mister ha portato con sé».
ZEMAN NO - Diverso il discorso per quanto riguarda Zeman, con cui il bosniaco si è trovato peggio in carriera. Con lui, dopo otto partite tra quelle in cui era a disposizione, appena 232’, con cinque presenze e tre panchine. «Secondo me Zeman è un bravo allenatore. Forse però voleva un certo tipo di giocatori che non aveva qui. Dovevamo giocare in un’altra maniera perché i calciatori a disposizione facevano un altro tipo di gioco. Lui chiede spesso ai centrocampisti di buttare la palla in avanti, di verticalizzare sempre. A me piace giocarla come la sento io. Mi sento molto più libero». Sarà anche per questo che la fatica, che pure c’è, si sente meno.