REPUBBLICA (E. SISTI) - Mentre la Juventus sta già assaporando il gusto, sempre quello eppure sempre diverso, della sua prima fuga in solitaria, qualche chilometro più a sud un ragazzo calcia una punizione da fuoriclasse. Colpisce il pallone col piede destro, vai tu a sapere esattamente come, probabilmente col piatto aperto, forse con un pezzettino di collo interno, quanto basta comunque per avvicinare calcio, biliardo e golf. Travestito da raffinato cameriere, è come se Pjanic, quella palla, l’avesse trasportata su un vassoio d’argento. Ha bussato alla porta del Parma aggiustandosi il papillon. La palla è morta morbida, terribilmente attraente per qualcuno, molto dolorosa per qualcun altro. «Per fortuna abbiamo un genio in campo» dice Garcia. È finita lì, in un punto talmente lontano dai sogni di pareggio del Parma e dalle mani di Mirante che nessuno, nei restanti minuti, ha perso del tempo a farsi inutili domande: «C’è ancora tempo per giocare? ».
Una punizione come quella che ha regalato alla Roma la vittoria al Tardini, strappando alla Juventus i già indossati vestiti della prima festicciola, non può che concludere uno spettacolo. È la fine perfetta. La Roma ha faticato perché doveva chiuderla prima. Ha faticato perché una volta subito il pareggio ha continuato a giocare aggressivo senza continuità, dispensando errori di misura. Ha faticato perché la velocità delle esecuzioni cozzava contro l’imprecisione di molti e la stanchezza di qualcuno. Normale intasamento delle gambe, mentre il cuore vorrebbe il cervello trattiene. Il Parma non s’è mai scomposto e a un certo punto sembrava anche più tonico degli uomini di Garcia (Cassano a parte). Tuttavia non avendo abbastanza qualità per decidere le partite scoprendo le proprie carte, s’è dovuta contentare di un breve incontro col pareggio (ottenuto con un bel colpo di testa da De Ceglie al 12’ della ripresa).
Nel primo tempo la Roma, padrona del campo e munita di un’arma non convenzionale (almeno cinque sublimi giocate di Totti), aveva accecato la difesa di Donadoni con una sequenza di fulminanti tagli. Uno di questi acquarelli, dipinto da Totti e Ljajic, portava al vantaggio (27’ pt), colorava lo stadio. È un dato di fatto: la Roma non fa più alcun gesto inutile. Segue la regola A.A.A., amministrazione, attenzione, attitudine. Gestisce, evita di trovarsi in inferiorità numerica nelle zone cruciali del campo, è ormai allenata a giocare da gruppo vero e ieri ha anche ripristinato le “densità mirate”, che lo scorso anno avevano fatto di Strootman un uomo indispensabile. La Roma sfrutta il meglio se può, ma se non può passa al piano b: ci vuole carattere anche nel domandarsi se non sia il caso di accettare anche un pareggio. Ieri poteva essere una soluzione dignitosa, che avrebbe sì lanciato la Juventus ma senza macchiare il percorso giallorosso. Florenzi nel finale si faceva riprendere da Felipe quando era a un passo dal raddoppio. Gervinho un paio di volte ha cincischiato. Dunque soltanto il vassoio del cameriere Pjanic, elegantissimo, magico, poteva consegnare alla Roma i tre punti.