LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Florenzi entra, anche la palla entra. La partita è finita. Mancano una manciata di secondi ma ormai sono granelli di sabbia negli occhi del Torino. Garcia si trasforma, mai visto ballare, urlare, stringere i pugni, saltare per il campo, rosso in volto. Pareva Mazzone. Vittorie così, importanti, spettacolari, di rabbia, mosse dalla disperata voglia di continuare a dare fastidio e a credere nel secondo posto, vittorie ottenute alla fine, quando avevi appena rischiato di perdere, fanno talmente bene che ci metti meno di un secondo a dimenticare tutto il resto. Per esempio che forse il Torino avrebbe meritato anche lui, che la Roma aveva giocato in affanno, che per tanti inutili e mesti minuti aveva cercato disperatemente di essere se stessa, quella che conosciamo, senza quasi mai riuscirsi. Ma il campionato è al volgere. Conta la sostanza, non importa più come la ottieni.
Il Torino recrimina. Aveva giocato una partita perfetta. Cauto all’inizio, non si è scomposto quando è andato sotto, si è esaltato nel pareggio, è stato pericoloso nel finale, poco prima di capitolare. La Roma stava finendo in disgrazia. Destro e Immobile avevano disegnato due momenti di grande bellezza. Sono i centravanti veri, quelli forti, che si girano a 180 gradi in mezzo metro di prato, quelli che arrivano prima del portiere in scivolata e gli fanno passare il pallone sopra la testa senza nemmeno sfiorarli o calciano di sinistro al volo da posizione decentrata: sono loro a dare lustro a certe partite. Prandelli avrà visto? Al 41’ del primo tempo Destro si è voltato come un gatto selvatico, alla Inzaghi, alla Klose, con mezzo piede in fuorigioco, e ha tolto alla partita quella patina di mansuetudine che stava bene al Torino e che la Roma non poteva accettare (ma lo stava facendo). Al 7’ del secondo tempo Immobile ha calciato di sinistro al volo da posizione decentrata un lancio millimetrico di Vives risistemando le cose.
È stata una partita aritmica. C’era la curiosità di vedere per la prima volta all’opera Rafael Toloi (per Benatia): bene, elegante, ottimi piedi, ma un po’ timoroso su Immobile (non soltanto sull’azione del gol). Nel primo tempo la Roma era sbilanciata all’indietro, spesso attaccava con pochi elementi. Il Torino ripartiva veloce (Cerci al 21’). Roma un po’ assonnata sulle palle vaganti, cosa che riduceva del 50% le possibilità di una ripartenza veloce, e troppo lenta nella manovra (maluccio Nainggolan e Totti). Al vantaggio vanno vicino Destro, Pjanic e Immobile. Maicon è più attivo di tutti, ma è come se volesse cercare soprattutto gloria personale. Subito il gol a fine primo tempo, il Torino torna in campo sentendo odore di bruciato: il suo meccanismo protettivo è andato in corto. Ma non resta guardingo. E al 7’ pareggia col capolavoro di Immobile: un gesto che all’Olimpico avrà fatto venire in mente altre analoghe meraviglie (Totti, Conti). Come all’andata al Torino sta bene il pari. Come all’andata la Roma deve vincere. Per farlo ha bisogno di denti e di lucidità, deve capire dove e quando mordere. Nainggolan a Verona irradiava, ieri irritava. Immobile al 19’ e Cerci al 23’ vanno vicini al raddoppio. L’occasione giallorossa arriva ma è sporca. Al 27’ Gervinho, dopo una serie di carambole, ha la palla del 2-1 appena fuori dall’area piccola: non si sa come ma la butta fuori. Era già apparso Ljajic per uno stanco Totti. Però solo quando entra Florenzi inizia la festa. Solo alla fine il Torino cede.