LR24 (MIRKO BUSSI) - Quando mercoledì sera Dzeko Edin da Sarajevo, 31 anni attaccante pluridecorato e capocannoniere italiano in carica, ha disegnato nella realtà ciò che è ai più è concesso soltanto in solitaria fantasia erotica, s’è tirato lo sciacquone. Un'altra volta, la 58esima, certamente non l’ultima, figurarsi se quella definitiva.
Dentro a quel pallone spedito da Fazio c’erano ben appallottolate le teorie, i fumi, le scorie radio-attive, fonte di leggendarie idiozie che poi trovano ventri disponibili nell’orgia sudicia del web. Dzeko l’ha colpiti in pieno, sbattendoli in porta e premendo il pulsante dello scarico. Poi di testa, ancora, per esser certi che ogni residuo organico scompaia. Per la 59esima volta. Senza per questo aver nulla da rimostrare, nessuna orecchia avvelenata per quanto gli era stato detto, perché Dzeko è più alto di molto ciò che lo circonda. Di chi ha pensato a quella vignetta per esempio. Quella lì del Dzeko non vedente. E che molti guardavano ammiccando, dimenticando che uno con quel curriculum e in età ancora produttiva era una casualità nella storia della Roma. Quel 9 a macchiare la gloriosa stirpe di “Bobo II” Destro, il rock Osvaldo, il bel Borriello, l’avanzo di Adriano, l’ultimo Toni, il primo Okaka, il degente Nonda, l’incomprensibile Mido, il simpatico Carew. Meritava penitenza, Dzeko, per essersi messo in fila con loro.
Piuttosto che avvilupparsi su se stesso, o lasciar la città, Dzeko ha stretto al collo quel mostro a tre teste di cui tutti parlano ma che nessuno ha mai visto in volto, il famelico “ambiente romano”. E l’ha costretto nel vortice purificatore del gabinetto. Che prima o poi tornerà a infondere i suoi miasmi per la città, affinché la stirpe possa proseguire nel suo corso più naturale. Ma ricorderemo di "Edwin" Dzeko: non il capocannoniere ma l'uomo che vinse l'ambiente romano.