Post Match - Qual era l'idea della Roma nel derby?

08/11/2022 alle 12:52.
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LR24 (MIRKO BUSSI) - La magia (nera) del derby è anche quella che, quando va come non dovrebbe, scurisce la vista. Al punto da tirare fuori istinti che parevano silenziati e il più recente di questi si sintetizza nel grido popolare: "Non c'è gioco". E pare necessario chiarirne la definizione prima di sedersi ad analizzare. La richiesta, si suppone, spinge verso la manifestazione di una strategia finalizzata a raggiungere le parti più intime dell'avversario.

Ma un'idea di come intrufolarsi sotto la veste laziale, pare quasi oltraggioso specificarlo trattandosi di professionisti del mestiere, era stata montata e risultava ben visibile dai primi momenti della sfida di domenica. Semmai, la discussione potrebbe spostarsi sulla sua validità, sull'attuazione e sull'efficacia, specialmente di fronte allo scorrere del tempo e degli eventi.

L'idea era figlia di quella risultata letale (confronta con "Post Match" di quel giorno...) nel derby di marzo: rifornirsi dai quinti, in massima ampiezza, che avrebbero costretto la linea di Sarri, proverbialmente orientata sulla palla e spesso stretta ai limiti del consentito, a doversi scucire. Lì, poi, il disturbo si sarebbe dovuto fare più insistente per l'arrivo di Pellegrini, ad associarsi con Zalewski, o Zaniolo, ad abbinarsi a Karsdorp.

La contesa era lì: una squadra voleva svicolare dal centro per smontare il castello di comportamenti rigorosamente collettivi a cui si attiene una squadra di Sarri, un'altra intendeva sbarrare la strada per l'esterno come segnalano chiaramente dalle traiettorie di corsa e posture che assumevano Pedro e Zaccagni nel tentativo di indirizzare dentro le giocate, rispettivamente, di Ibanez e Mancini. L'atto nefasto del romanista, d'altronde, è un cortocircuito scatenato dalla difficoltà di sfociare direttamente su Zalewski.

Il minuto 17 è utile a chiarire quali fossero le intenzioni della Roma: Mancini con un cambio di gioco arriva direttamente da Zalewski, provocando l'uscita di Lazzari sull'esterno romanista. Quella profondità alle spalle del terzino laziale prova a raccoglierla Pellegrini, valutato poco fruttuoso l'attacco, si ripassa per Cristante che non ha dubbi nel replicare lo stesso meccanismo sul lato opposto: calcio lungo diagonale che raggiunge Karsdorp, chiamando la pressione di Marusic, e Zaniolo a dirigersi subito lì dietro. E' la stessa dinamica, in fondo, che porta all'ammonizione di Lazzari, costretto ancora ad uscire su Zalewski e stavolta saltato in dribbling. Ecco, i dribbling, un modo alternativo al passaggio per garantirsi la necessaria superiorità a svolgere qualsiasi mansione offensiva efficace: la Roma ha chiuso con zero dribbling riusciti su 11 tentati. Che per una squadra che vuole essere sintetica nelle proprie proposte d'attacco appaiono una vitamina necessaria a tenere in salute l'organismo.

Cos'è che ha svilito il piano della Roma, dunque? La scarsa varietà di costruzione, ad esempio. Che obbligava i quinti desiderati a doversi abbassare ogni volta per offrire la più sicura via d'uscita, esterna appunto, dalla prima pressione. Così, se impegnati nella costruzione, sarebbe stato complesso ritrovarli 50 metri più avanti, nelle zone di rifinitura, dove la Lazio avrebbe dovuto smontare la propria linea per affrontarli.

Un indizio arriva in occasione della più nitida occasione prodotta dalla Roma: l'arrivo sul quinto, Karsdorp nell'occasione, stavolta è per mezzo di una via centrale, con Smalling che passa da Cristante e a quel punto soltanto si arriva a Karsdorp. Sembra una minuzia ma provoca un effetto a catena: quando i quinti romanisti ricevevano in una zona di campo inferiore, infatti, era compito di Vecino da un lato e Luis Alberto dall'altro andare ad ostacolarli. Quel passaggio intermedio, per Cristante, trattiene centralmente la pressione laziale e quando Karsdorp riceve, oltre a farlo una decina di metri più avanti, l'angolo di intervento di Luis Alberto è quasi nullo per ostruire una successiva giocata verticale.

Da lì l'olandese probabilmente vorrebbe soddisfare immediatamente il desiderio di profondità tracciato dalle corse di Zaniolo, Abraham e Pellegrini ma la scappata difensiva di una squadra di Sarri è praticamente computerizzata, per cui la porzione di campo più a portata di mano (o piede) resta quella tra le linee, dove finisce per ricevere, un po' fortunosamente, Abraham. Anche qui, la differenza nello sviluppo provoca cambiamenti nella situazione globale: uno step intermedio, prima di rivolgersi alla profondità, permette di aumentare la presenza in area, oltre ad attrarre l'attenzione avversaria, costretta a nuove scelte. L'inglese andrà da Zaniolo, che avrà su di sé occhi e pensieri dell'intera linea dedita esclusivamente al pallone prima di scagliare il dardo deviato sulla traversa. E si noterà la libertà concessa al quinto opposto, Zalewski. Perché avere una buona idea, senza saperla esprimere adeguatamente, può far credere che non se ne abbia alcuna.

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