Il Chievo Verona di Di Carlo

06/01/2012 alle 15:43.

LAROMA24.IT – Per raccontare del Chievo Verona si è spesso ricorsi alla parola ‘favola’. Una favola che aveva il suo lieto (lietissimo) fine il 9 agosto del 2006 a Sofia, quando il piccolo Céo si giocava l’accesso alla Champions League contro il Levski. Una favola, come definirla altrimenti. La squadra di un quartiere, che fino a metà degli anni ’80 scivolava e risaliva tra i campi regionali del Veneto, giunta a cucire sulla manica destra quel logo stellato che ti ricorda che sei tra le più grandi d’Europa. E’ il 1986 quando prende vita quello che diventerà, nel giro di un paio di decenni, il ‘miracolo

E’ il 1986 quando prende vita quello che diventerà, nel giro di un paio di decenni, il ‘miracolo Chievo’. La C2, poi la C1, quindi la B, infine la serie A, raggiunta con Delneri nel 2000-01. Quella stagione, che per la Roma è il 3° ‘miracolo’ della sua storia, rappresenta l’iniziazione di quello gialloblù. Tutto senza trucchi, un lavoro lungo e costante che li porta, già nel 2002, nelle coppe europee con la doppia sfida alla Stella Rossa di Belgrado. Nel 2006, siamo al punto più alto della favola: le sentenze di calciopoli fanno scalare una posizione ai clivensi che si piazzano quarti, l’ultimo gradino che consente di approdare nella massimo espressione del calcio europeo: il 23 agosto, dagli altoparlanti del ‘Bentegodi’, vengono diffuse le note della . Si chiudeva una favola, ma la realtà proseguiva inesorabile. E infatti le note europee nel giro di 8 mesi si sono trasformate in un requiem, conseguenza del 18° posto finale che ratifica la retrocessione della squadra tornata a Delneri, dopo un breve percorso con Pillon.

LA STORIA – 82 anni e 6 nominazioni cambiate, il percorso per diventare il Chievo Verona non è stato dei più semplici. Nata come Opera Nazionale Dopolavoro Chievo, la formazione dalla maglia bianco-blu a scacchi diventerà A.C. Chievo al termine del secondo conflitto mondiale, nel 1948, iscrivendosi in Seconda Divisione. Durerà 11 anni questa denominazione, prima di rigenerarsi in Cardi Chievo, per motivi di sponsorizzazioni. Erano cambiate diverse cose nel frattempo: in attacco militava Bruno Vantini, l’impronta più grande nella storia dei ‘mussi’, gli asini, come si autodefinirono per risposta ad uno sfottò dell’Hellas. Secondo cambiamento: si giocava al campo della parrocchia “Carlantonio Bottagisio”, la ‘casa’ del Chievo fino al passaggio tra i professionisti. Nella linea del tempo gialloblù, c’è da cerchiare in rosso il 1964: anno in cui le fortune del club si intrecciano alla famiglia Campedelli, ancora oggi al timone della società. 1981, altro cambio di nome: l’etichetta Cardi lascia spazio a quella di famiglia, la Paluani. Cinque anni più tardi arriverà l’anno di volta: il rispolverato A.C. Chievo scopre il professionismo e lo farà allo Stadio ‘Bentegodi’ di Verona. Da qui è una scalata continua. 1989: promozione in C1, l’anno successivo Luigi Campedelli conia il definitivo A.C. Chievo Verona e nel 1994, guidati da Malesani, i gialloblù sbarcano in Serie B. Arrivano i primi derby con l’Hellas, quindi la promozione in A del 2001 con il 4-4-2 di Delneri. Il resto si conosce e sono gli ultimi capitoli del miracolo Chievo. Senza trucchi.

IL TECNICO – Poche parole e tanto lavoro, scarso utilizzo di paiettes ma la validità dei tessuti è indiscutibile. La filosofia del Chievo si rispecchia anche nella scelta dei tecnici. Delneri, Pillon, Iachini, Pioli e Di Carlo hanno in comune il lavoro quotidiano, fanno parte di quella cerchia che tuta o giacca e cravatta alla domenica non fa differenza. Tanto dovranno dimenarsi, per guidare la propria squadra dalla panchina, poco importa se poi non usciranno ordinati e composti nelle riprese televisive. Domenico, naturalmente Mimmo, Di Carlo non è di quelli che va in conferenza stampa e ti raccomanda di non essere un pirla, preferisce fartelo capire sul campo. Modi di essere. Il 47enne di Cassino, dopo una carriera tra le serie inferiori, ha esordito a 31 anni in serie A con il Vicenza di Guidolin. Mediano di fatica piuttosto che di qualità, ha varcato la linea laterale che divide il campo dalla panchina proprio a Vicenza, assumendo la guida della Primavera. Nel 2003-04, la prima chiamata ‘vera’ arriva da Mantova, dove scopre subito come si vivono le soddisfazioni da allenatori, vista la doppia promozione consecutiva che portano i virgiliani dalla C2 alla B.

Dopo aver sentito l’odore della A, eliminato nella finale play-off dal Torino, riesce ugualmente a sedersi su una comoda poltrona di massima serie nel 2007 accettando la proposta di Ghirardi, appena presidente del Parma. Capirà da subito le difficoltà del primo campionato italiano. Ad aiutarlo nella comprensione ci pensò Silvio Baldini, allora tecnico del Catania avversario al debutto dei ducali. L’impetuoso tecnico dei siciliani, in una discussione con Di Carlo, gli rifilò un calcio nel sedere mentre quest’ultimo stava ritornando nell’area tecnica. L’anno successivo ecco il matrimonio col Chievo Verona per sostituire Iachini. Due salvezze di fila, senza fiatone, ma con qualche imprecazione, come quella che gli costò la di una giornata nel marzo del 2010. Poi, nel maggio successivo, la grande occasione. Il salto di qualità si chiama Sampdoria, appena lasciata da Delneri dopo aver raggiunto i preliminari di . Qui, la storia di Di Carlo si intreccia con quella del Chievo ripetendo la nefasta stagione dei veneti nel 2006: dal paradiso delle sfide europee, all’inferno della retrocessione, senza purgatori di mezzo. Va detto, però, che il tecnico ciociaro viene esonerato a marzo quando ancora si trovava sopra la soglia della retrocessione. A concludere l’opera ci penso Cavasin. Nonostante il passo falso, Di Carlo va avanti tornando indietro, ovvero al Chievo Verona, con il quale firma un nuovo contratto nello scorso giugno.

LA FORMAZIONE – La scelta di Di Carlo non dovrebbe prevedere molte sorprese, ricadendo su uno spigoloso 4-3-1-2. Tra i pali ci sarà l’ex obiettivo romanista, Stefano Sorrentino, che non ha mai perso occasione per farsi rimpiangere dai dirigenti romanisti. Sardo, Cesar e Jokic sembrano certi di un posto, mentre Andreolli, ex reale, e Frey si giocano la 4° maglia difensiva. Rigoni-Luciano-Bradley dovrebbe essere il trio di centrocampo (Hetemaj sarà in ballottaggio fino all’ultimo) che garantisce grande dinamismo e una costanza negli inserimenti offensivi, dove agiranno Pellissier e Paloschi, con il francese Thereau alle spalle.

 

Mirko Bussi