GASPORT - Carlo Liedholm, figlio del Barone, storico allenatore di Roma e Milan, ha rilasciato un'intervista ai taccuini del quotidiano sportivo. Ecco alcune delle sue dichiarazioni. Inizia dicendo di non guardare molto calcio: «Solo quando ci sono la Roma e il Milan. O il Milan e la Roma».
Soltanto, Carlo?
«Sì, Milan e Roma. Le due squadre, le due città, i due grandi e veri amori del papà,
pieni di storie di calcio, scudetti, battute, gol e gioie».
E anche qualche piccola bugia...
«Qualche volta esagerava, si divertiva, ma c'era sempre un fondo di verità. Gli piaceva molto parlare di calcio, del Milan e della Roma, dei suoi giocatori, del suo mondo, dei suoi esordi. Lui diceva: "Io non racconto mai bugie. Io racconto le verità degli altri. Loro mi vedevano giocare e dicevano che ero bravo. Dopo la prima partita di campionato di me e Gren hanno scritto: Nils è Leonardo da Vinci e Gren Michelangelo. Poi sono arrivati altri, Raffaello Baggio e Pinturicchio Del Piero. Dopo. Ma gli artisti, diceva, c'erano anche allora».
E' diventato direttore sportivo. Poi?
«Direttore generale al Sant'Angelo Lodigiano e al Casale. Poi ho smesso e ho fatto il suo osservatore. Si fidava dei miei suggerimenti e consigli. L'ho seguito, gli ho fatto anche da autista. Lo accompagnavo alle partite, a Milano e Roma».
E' vero che papà non voleva guidare?
«Sì, in città. Eppure era un bravissimo pilota d'auto: aveva imparato a guidare sulla neve in Svezia. Ma a Roma e Milano si faceva trasportare dai suoi collaboratori o giocatori. E poi diceva come fare: attento, a destra, a sinistra, rallenta, frena. Dava le
direttive, spiegava con inserirsi "tatticamente" nel traffico al momento. E questo irritava i giocatori. Una volta De Sisti me lo ha raccontato: grande Barone, ma che stress...».
Che rapporto aveva con i suoi giocatori?
«Non aveva amici, non privilegiava nessuno. I rapporti erano molto professionali, di grande stima. Aveva particolare attenzione verso i più deboli, i ragazzi. A casa nostra, a pranzo, non è mai venuto nessun giocatore».
Era molto legato ai suoi tifosi. Ricambiato.
«È stato molto felice a Roma, con la sua gente, i suoi tifosi. Lui amava veramente i tifosi, gli piacevano, si fermava a parlare di calcio, li ascoltava. Poi diceva: "Sono bravi, mi vogliono bene e io ne voglio a loro"».
Milan e Roma: in fondo al cuore del papà Barone c'era una piccola preferenza?
«Forse leggermente il Milan. Percentuali? Diciamo 51/49. Il Milan gli ha dato molto. Ha giocato 12 anni con la maglia rossonera, i migliori della sua carriera da calciatore. A Milano è diventato allenatore, ha vinto lo scudetto della stella. Ma Roma, città d'arte piena di profumi, è riuscita ad amarlo di più. Quei fantastici, meravigliosi cinque anni, dal 1979 al 1984, hanno cambiato la sua vita e la storia della squadra».
Ha anche sofferto.
«Non potrò mai dimenticare la sera della sconfitta ai rigori con il Liverpool nella finale di Coppa dei Campioni. La giornata più amara della storia sportiva di Nils. Tornò a casa senza dire una parola. Aveva sfiorato il cielo: quando mai potrà ricapitare alla Roma di giocare una finale di Champions nel suo stadio? Stava tornando al Milan, ma voleva scrivere un'ultima, memorabile pagina con la Roma».
E stasera per chi tiferebbe papà Nils?
«Per il bel calcio, la sua bella vita».




