Quotazione in Borsa: per i club italiani pochi vantaggi e nessun business

10/06/2022 alle 08:02.
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In principio fu il Tottenham, sbarcato sul listino londinese nel 1983 e prima squadra ad essere quotata in Borsa. In Italia si inizia negli anni ’90: con la legge 485 del 1996 viene finalmente eliminato il divieto di distribuzione degli utili, equiparando cosi le società sportive alle tradizionali Spa e concedendo quindi ai club la possibilità di essere quotati in Borsa.

Il primo club italiano ad accedere alla quotazione è la Lazio nel 1998: nel giorno di debutto la richiesta di titoli supera di circa sette volte l'offerta. Due anni più tardi, il 23 maggio 2000, tocca alla Roma varcare la soglia di Piazza Affari. Quel giorno le richieste di sottoscrizione da parte degli investitori superano l'offerta di 3,6 volte, deludendo un po' le aspettative. L'ultima è stata la , il cui titolo viene ammesso alle contrattazioni a partire dal 2001.

La storia insegna che l'avventura borsistica non possa definirsi soddisfacente. Il problema principale è che le azioni di Lazio, Roma e non sono state scambiate frequentemente, con transazioni poco consistenti e di scarso controvalore. Ciò ha conferito ai titoli una marcata volatilità che si è riflettuta sulla sensibilità del prezzo a seguito della diffusione di qualsiasi tipo di informazione. In definitiva la quotazione non ha portato vantaggi economico-finanziari ai club, i quali durante l'avventura in Borsa non sono riusciti a trasformare l'attività sportiva in un business commerciale. Nello stesso tempo però la presenza a Piazza Affari ha comportato la pubblicazione di dati contabili trimestrali rispetto alla sola redazione del bilancio annuale, l'obbligo di comunicazione al mercato di ogni fatto rilevante, la redazione a partire dal 2006/07 dei bilanci in conformità ai principi contabili internazionali e soprattutto la vigilanza da parte della Consob.

(Gasport)