La società forte ha bisogno di un grande allenatore, che a sua volta ha bisogno di una società forte. L'allenatore diventa più bravo se a disposizione ha grandi giocatori e la storia di José Mourinho racconta proprio questo. La Roma è in totale fase di sperimentazione e abbiamo capito che neanche lo Special One fa miracoli. La Roma è settimana, lontana dalla zona Champions e fuori dalla Coppa Italia. Il responsabile non può essere uno solo.
Qualche tempo fa Mourinho aveva fatto riferimento a Paolo Maldini come un elemento decisivo del Milan, una figura che alla Roma manca: tutto è affidato all'unico vero uomo di calcio. C'è Tiago Pinto, che al Benfica lavorava con Rui Costa, ci sono i Friedkin, che allo stadio non si vedono più e mettono soldi, ma non hanno tradizioni calcistiche. A gennaio c'era da rinforzare la rosa e non c'erano soldi da spendere. La Roma non è riuscita a rinforzarsi, a partire dai ruoli scoperti: terzini e regista su tutti, che era il primo innesto richiesto. Il problema è stato dover spendere tanto su Abraham dopo aver speso 18-20 milioni per Shomurodov: forse con quei soldi poteva arrivare il regista.
Davvero la rosa non è all'altezza? La colpa è perdersi sistematicamente l'uomo in area di rigore, sbagliare gol facili, assist. Errori, tanti, spesso fatti notare da Mourinho. Se il talento viene meno bisogna compensare con carattere e agonismo, ma questo gruppo ha perso la verve mostrata a inizio percorso
Mourinho non ha però ragione per come gioca la squadra: negli ultimi tempi c'è stato un'involuzione nel gioco. Lancioni, poche idee, giro palla lento, un calcio piatto e fragile. Il tecnico ha cercato di stimolare il gruppo con uno sfogo nel post Inter-Roma, ma secondo Capello "così si offendono i giocatori e si danneggia il club".
(Il Messaggero)