IL MESSAGGERO - Gianluca Mancini, difensore centrale della Roma, ha rilasciato una lunga intervista questa mattina sulle pagine del quotidiano nazionale in cui ha parlato della sua esperienza in giallorosso, dell'arrivo nella Capitale di José Mourinho e della sua voglia di conquistare un trofeo con la maglia della Roma. Queste le sue parole.
«Primo giorno di allenamento: Mourinho ci riunisce davanti a un maxischermo e ci fa notare una situazione tattica del passato da non ripetere più. Ecco, li ho capito chi avevamo davanti e mi sono acceso. Da quel momento siamo andati a mille. Fissando l'immagine di quell'errore ha subito stabilito un paletto e un punto di ripartenza. Il rinnovo? Non è una priorità, ma a Roma mi ci vedo bene. E a lungo».
Vuole restare a lungo, quindi ha in testa la vittoria?
«Vito Scala spesso mi racconta dello scudetto. Mi piacerebbe provare certe sensazioni».
Ci vuole tempo?
«Siamo una squadra giovane. Stiamo costruendo».
Mourinho dà la sensazione che tutto sia possibile.
«E' un leader. Alza il livello. Incroci il suo sguardo e subito ti viene di dare di più. E' una fortuna averlo. Quando lo hanno annunciato, eravamo elettrizzati».
Da Fonseca a Mou, alla fine lei è sempre il cocchetto degli allenatori.
«Cocchetto no, è brutto».
Leader, allora.
«E' una bella parola, che resta tale se non la riempi. Io sono uno a cui piace parlare di questioni tattiche, di calcio. Ma poi contano i fatti, gli esempi. Se la squadra mi segue, sono felice perché è un qualcosa che mi sono conquistato».
Pellegrini, un altro ascoltato dal gruppo.
«Lui gestisce più di tutti lo spogliatoio, parla molto con i giovani. Poi c'è Bryan, guida silenziosa. Quando vediamo atteggiamenti sbagliati proviamo a correggerli con i comportamenti. Senza dimenticare il lavoro del nostro allenatore: la sua storia si conosce, è anche normale che ti fai trascinare da lui».
Questa squadra può vincere in poco tempo?
«Calma. Dobbiamo stare sereni e se perdiamo delle partite bisogna essere bravi a reagire, come abbiamo fatto. Poi le situazioni offensive e difensive vanno a migliorare, più tempo stai con l'allenatore e più le cose cresceranno. Ma la Roma ora non è da scudetto. Da qui a Natale ci giochiamo tanto. E non conta vincere solo gli scontri diretti: se battiamo Juve e Napoli e perdiamo con il Cagliari non ha senso. Dobbiamo trovare equilibrio».
Che consigli darebbe a Zaniolo?
«Nicolò è un fratellino, eravamo alla Fiorentina e tutti e due siamo stati mandati via. Questi infortuni lo hanno maturato, ha avuto uno scatto, è cresciuto, lo vedo più uomo. Quest'anno ho intravisto un altro ragazzo, non perché prima fosse cattivo, ma è più responsabile. Il gesto nel derby? Sempre meglio evitare, ma è stato anche attaccato tante volte, siamo esseri umani».
La Fiorentina non ha creduto in lei, l'Atalanta l'ha formata.
«E' un club che sa lavorare con i giovani. Gasperini è attento ai dettagli, ti fa allenare a duecento all'ora, lì ho imparato a essere professionista. Grazie sempre».
Lei tifava per la Fiorentina?
«No, interista come tutta la famiglia. Ora ovviamente siamo tutti romanisti».
A Fonseca cosa è mancato per affermarsi a Roma?
«Nei gironi di andata abbiamo sempre fatto benissimo, dopo le soste natalizie, il crollo. Non si spiega. Errori nostri e dell'allenatore».
L'ambiente non c'entra?
«Roma è una piazza calorosa ed esigente e deve essere così. Abbiamo perso un derby, siamo andati sotto la Sud e ci hanno accolto tra gli applausi. È normale che una città con così tanti abitanti metta questa pressione. Io quando entro allo stadio e vedo quel calore, l'entusiasmo, penso che sia una cosa bella, da brividi, non un problema. Noi dobbiamo essere bravi a non sentire quelli che vogliono mettere zizzania e a isolarci da certe chiacchiere».
E' diventato un idolo dei tifosi: ci sono foto che la mostrano, esultante e con la vena alla De Rossi.
«Quando vado in giro per la città ricevo molto affetto ed è bellissimo. Se gioco a calcetto con gli amici esulto alla stessa maniera, io in campo sono me stesso».
Prende troppe ammonizioni, però.
«Quest'anno poche: una in sette partite. Gli altri anni, tante, verissimo. La concentrazione è tutto, bisogna tenerla novantacinque minuti. I miei errori vengono quando abbasso l'attenzione. Per uno come me, che non sono nato con il talento di Nesta, c'è solo una soluzione: lavorare su me stesso, sul carattere».
La partita che sente di più è contro la Juve o la Lazio?
«Io ho esordito con la Roma in un derby, avevo il mal di pancia, la senti più delle altre, rappresenti Roma e giochi con la tua rivale cittadina».
Ha ragione Mourinho a dire che la Lazio è una piccola squadra?
«Rispondo?» (ride).
Da Abraham a Dzeko cosa è cambiato?
«Era arrivato il momento di cambiare aria. In campo saremo avversari, fuori il rapporto rimane. Abraham ha doti impressionanti, qualità e voglia di vincere. Una cosa bella da vedere, ha un grande futuro davanti».
Fara l'allenatore un giorno?
«No, forse il secondo».
Ma non era appassionato di tattica?
«Sì, quando gioco. Ma non mi vedo allenatore: ho un caratterino e sarebbe un rischio...».
Perché si è tatuato un gorilla?
«È il mio animale preferito. Mia moglie mi definisce così, perché sono protettivo verso la famiglia. E la squadra».
Chiudiamo con la Nazionale: quanto ha sofferto per l'esclusione dall'Europeo?
«Tanto, sono stato giù per qualche giorno. Poi, le vacanze, la famiglia e mi è passata. E ho fatto il tifo. Spero che il percorso azzurro non sia finito, punto sul Mondiale».