Capello e quel tricolore: «La Roma del 2001 sarebbe da scudetto anche 20 anni dopo. Ora punto su Mou»

15/06/2021 alle 07:23.
fabio-capello

Fabio Capello, allenatore della Roma nell'anno dell'ultimo scudetto vinto dai giallorossi, ha rilasciato un'intervista ai taccuini della rosea. Diversi i temi trattati dal tecnico friulano, che parla di passato ma anche di presente. Di seguito uno stralcio delle sue dichiarazioni:

La prime sensazioni che ricorda di quel giorno?
«Rabbia e gioia, ma anche tristezza. La rabbia, giusta, per quell’invasione di campo a pochi minuti dalla fine della partica col Parma, che ci poteva far perdere la partita a tavolino. Pensi se uno avesse dato un colpo a un giocatore che cosa sarebbe successo. Poi, la felicità, certo, ma ricordo anche tanta tristezza. Non mi era mai successo – e non mi sarebbe accaduto mai più – di non festeggiare tutti insieme con squadra e dirigenti. Mi ricordo che chiesi di prenotare un ristorante o un hotel per stare insieme, invece non si fece nulla. Ognuno per conto suo. Ricordo che passai con lo champagne prima a casa di Montella, poi a quella di , ma non fu lo stesso. La cosa più brutta nel giorno più bello».

Il presidente Sensi?
«Un grande, sia lui che la sua famiglia. Sapeva ascoltare. Con Batistuta costruimmo la squadra per vincere e lo facemmo. Fu davvero una vittoria corale».

Con , Samuel, ...
«Lasci perdere. Vogliamo parlare di come giocava a calcio Francesco? Quello fu un successo di gruppo, in cui ognuno portò il proprio mattoncino. E quelli che giocavano meno, da Guigou a , forse sono stati più importanti degli altri».

Partendo da quella squadra, avrebbe mai immaginato che in vent’anni la Roma non avrebbe più vinto uno scudetto?
«Mai. Ho ancora il rimpianto per la stagione successiva. Se non avessimo pareggiato col Venezia retrocesso, avremmo potuto rivincerlo subito».

Arriva Mourinho: per la Roma può essere il nuovo Capello?
«Glielo auguro. L’ho sempre ammirato. Mi piace, ha le idee chiare, sa leggere le partite e ha coraggio. Poi, come sempre, c’è bisogno di bravi calciatori».

Le piacciono i Friedkin?
«Mai conosciuti, ma mi sembrano delle persone serie, che parlano poco e fanno i fatti».

Ci pensa mai alla parabola del suo amico Baldini? Prima la gloria come d.s. eroe dello scudetto, poi la “damnatio memoriae” come consigliere di , con che nella autobiografia lo ha criticato pesantemente. Il calcio è anche questo?
«Io guardo ai fatti. Oltre che a Roma, è stato con me nel e nell’Inghilterra, lavorando bene. Poi ognuno esprime la propria versione e allora bisognerebbe capire quale sia la verità». Vent’anni dopo, è il modo gentile per dirci: basta così.

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(Gasport)