IL MESSAGGERO (U. TRANI) - Il salto in alto è stato improvviso. E, per certi versi, anche inaspettato, essendo arrivato subito dopo la peggiore prestazione stagionale (a Marassi contro la Sampdoria di Ranieri) e proprio nel momento in cui mezza rosa è uscita di scena. Fonseca, però, è tutt'altro che sorpreso dal raccolto della Roma da podio. Abbondante nei consensi, nelle idee e nelle giocate. E nei punti: +6, dopo 111 turni, rispetto a un anno fa, 2 gol segnati in più e 2 subiti in meno. Il portoghese, già prima di affrontare e battere il Napoli, è stato di una semplicità mostruosa: «La squadra gioca come piace a me». Affermazione che non è affatto banale. Perché, a leggerla poi in campo, è invece ricchissima: organizzazione, conoscenza, applicazione, convinzione, coraggio, personalità e tecnica. È l'impronta dell'allenatore. Che è riuscito, in pochi mesi, a portarsi i giocatori dalla sua parte. Lo seguono e si vede. «Non abbiamo ancora vinto niente» ha ripetuto pure domenica. Dimenticando, però, il suo successo. Personale, ma decisivo per la virata. Lo ha ottenuto dentro lo spogliatoio. Si fidano di lui. Che guarda dritto negli occhi e sceglie. Pure di lasciare fuori il capitano: Florenzi da 4 gare va in panchina. Guida sicura, insomma, per il ritorno in Champions.
FORMAZIONE BASE - L'interrogativo del momento galleggia nell'etere della Capitale. E si estende anche oltre il Grande Raccordo Anulare. C'è chi ha fretta di capire che Roma sarà quando rientreranno anche gli altri. Quei titolari che hanno permesso ai resti, riqualificati dal tecnico, di prendersi la scena e chissà ancora per quanto. Fonseca, però, si tiene stretto l'autentico paradosso che è poi la vela resistente della Roma, capace di viaggiare da 3 partite più forte delle migliori, cioè della Juve e dell'Inter (hanno preso 7 punti, non 9 come i giallorossi), e che risale al 3° posto dopo quasi un anno e mezzo (20 maggio 2018), mettendosi in scia di chi giocherà in questo torneo per lo scudetto. In piena emergenza, ecco l'evoluzione. Tattica, fisica e caratteriale. Verrebbe da tirare fuori il solito refrain, spot per la storia del calcio italiano: i nostri calciatori si esaltano e vanno al massimo solo nelle difficoltà. Qui, però, il discorso non regge. Allenatore appena arrivato e dall'Ucraina, diversi stranieri tra i titolari. C'è qualcosa di più semplice. Il portoghese ha avuto la possibilità di insistere e quindi di addestrare solo alcuni giocatori. Adesso saranno pure stanchi. Di sicuro sono più preparati. E il rendimento del collettivo e dei singoli è di conseguenza lievitato. Il turnover, ovviamente anche per mancanza di interpreti, è stato azzerato. Ma rinunciare forzatamente alla rotazione è oggi il segreto del coro più intonato della serie A. Guardate la formazione di partenza nei 3 successi consecutivi: solo 1 cambio contro il Milan, Perotti per Kluivert, dopo il pari contro il Borussia; 2 poi contro l'Udinese, Santon per Spiunazzola e Kluivert per Perotti, e contro il Napoli, Spinazzola per Santon e Cetin per Fazio.
DOUBLE FACE - I riferimenti sono lì, dentro al campo. Il portiere, Smalling, Kolarov e Dzeko. E con loro c'è la traccia a cui si dedicano Mancini, Pastore, Vertout, Zaniolo e, quasi sempre, Kluivert. Il centrocampo detta il ritmo e quindi il gioco. In alto e in basso. Sempre. Pressing, sacrificio, palleggio e ricamo. Il 4-1-4-1 camaleontico o ibrido che dir si voglia è difensivo e offensivo nella stessa partita. Dà equilibrio ed efficacia. Mancini stopper nella linea che diventa a 5 e regista quando c'è da ripartire in verticale (dal suo piede le azioni del 3° gol all'Udinese e del 1° al Napoli). Veretout che si alza sul centro sinistra, trequartista come Pastore sul centro destra. Dzeko non è mai solo, in area e fuori. Zaniolo e Kluivert si aprono e si stringono. A seconda dal compagno che si presenta alle loro spalle. O dell'avversario da sfidare a duello. Fonseca fa il suo gioco. Ma mirato a chi ha davanti. Studio e dialogo, con i giocatori informati e quindi complici.