IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Sette più uno, uguale otto. Otto e mai nella stessa maniera. Ventitrè calciatori utilizzati, 22 utilizzati come titolari (Luca Pellegrini l'unico utilizzato non nell'undici). L'integralismo, come l'incantesimo, è spezzato, evaporato, non esiste più. O forse non è mai esistito. Di Francesco, nelle sette di campionato e nell'unica disputata in Champions League, ha messo in campo sempre un undici diverso. Il sintomo, ovvio, che nella difficoltà Eusebio ha cercato strade diverse, fino a trovare - a quanto pare - quella giusta. Una volta per via della difesa a tre, un'altra per la posizione di Pastore, un'altra con un centravanti, un'altra con un altro, poi gli esterni, ora Perotti, ora El Shaarawy, quindi Under, Kluivert e Florenzi. Tante le incognite. Un tourbillon che non si è mai fermato e che, a quanto pare, è destinato a continuare, viste le difficoltà fisiche di De Rossi e soprattutto Pastore. Che a Torino, prima giornata di campionato, è stato schierato come mezz'ala, almeno nello schieramento iniziale. Quel caldo pomeriggio di fine agosto, al Grande Torino, c'era anche Strootman a centrocampo (sic). Durante la partita, l'argentino è stato alzato nel ruolo di trequartista ed esterno d'attacco. Già in quell'occasione si capiva che la strada non era quella, la vittoria ha solo tamponato le sensazioni negative. Nella partita successiva, subito la mini rivoluzione: Di Francesco opta ancora per il 4-3-3 (poi cambierà in corsa, 4-2-3-1 e 4-2-4), con Cristante e Pellegrini mezze ali e Pastore largo a sinistra. Il tacco del Flaco è l'illusione, da quella rete la prima pietra della crisi, che culminerà nel pomeriggio di Bologna. Nella ripresa, con il cambio del modulo, Di Francesco lancia Nzonzi e rinuncia contemporaneamente a Cristante e Pellegrini. Siamo ancora ad agosto, ma fa freddo intorno alla Roma. Si va a Milano, terza di campionato, altra rivoluzione, altro tentativo per dare vita a Pastore. Lo si mette trequartista, con un doppio centravanti davanti, Schick e Dzeko. Ma non basta: DiFra cambia la difesa, che si presenta a tre, si rivede Karsdorp titolare dopo quasi un anno, come terzino quinto. Difesa imbottita, insomma, scudo (presunto) di molte fragilità. Dietro c'è Marcano, semi responsabile del vantaggio di Kessie. Uscirà ad inizio ripresa, Di Francesco torna al 4-2-3-1. Meglio, ma non basta per evitare la sconfitta.
IL CAMBIO IDEA - Non serve nemmeno Nzonzi dal primo minuto al fianco di De Rossi. Tutto funziona poco, non solo il francese. La sosta porta consiglio, si torna al 4-3-3. Arriva il Chievo e la situazione è ancora confusa. La novità è Juan Jesus al centro della difesa, Nzonzi fa la guardia a Cristante e Pellegrini. Nella ripresa entra De Rossi e si torna al 4-2-3-1: da 2-0 si passa al 2-2. L'allarme non ha più il suono del campanello, ma a far rumore è la campana. Che smette di suonare a Bologna, dove si tocca il fondo, per scelte, gioco e risultato. Vince la squadra di Inzaghi, la Roma non reagisce. Parte benino, poi sviene davanti ai gol di Mattiello e Santander. Mat-tiel-lo e San-tan-der. Come sostiene Kolarov, certe partite si vincono in otto o nove giocatori. Ma quella Roma non era in grado, nonostante l'ennesimo cambiamento di formazione: Marcano terzino sinistro, Kluivert e Perotti titolari sulla fasce alte. La nota comune è che durante i vari disastri, ciò che ha funzionato benino è il modulo 4-2-3-1. La Champions nel mezzo ha solo acuito i problemi, a Madrid si regista l'esordio di Zaniolo. Si resta 4-3-3, fallimento anche lì. Ovvio, al di là del modulo, che può dare sempre una mano, ciò che è cambiato ultimamente è l'atteggiamento dei calciatori: più disponibili, più reattivi. Uomini, come sostiene l'allenatore. Frosinone e derby, la svolta. Si gioca 4-2-3-1, il mercoledì c'è Santon per la prima volta titolare, mentre nel derby la novità è Florenzi alto a destra. Sei punti. La strada è stata percorsa, le buche sono state tante, il peggio sembra passato. Sembra.